
Cosa resterà di Gaza in Italia? Una ferita profonda tra gli italiani e gli ebrei italiani. Con le dissennate leggi razziali del regime fascista gli ebrei italiani che si erano integrati ed erano a tutti gli effetti italiani divennero in un giorno e una notte dei senza patria condannati all'isolamento, all'espatrio, all'oblio e al rastrellamento della "soluzione finale". Quella ferita, che un grande editore e scrittore come Angelo Fortunato Formiggini, ebreo e italiano, denunciò lanciandosi dalla Ghirlandina, è stata ricucita a fatica nel lungo, lunghissimo dopoguerra e il suo punto di approdo è la data istituzionale del 27 gennaio: la Giornata della Memoria. In quella giornata per anni gli italiani, dal primo all'ultimo, dal presidente della repubblica a me stesso, si sono detti in pubblico: "Mai più". E, invece, ci risiamo. Il movimento filopalestinese dei cosiddetti pro-Pal, che attraversa tutto lo schieramento politico della sinistra, dalla più moderata alla più estrema, ha riaperto la ferita tra gli italiani e gli ebrei italiani o le comunità ebraiche che non a caso come ha sinceramente osservato Walker Meghnagi, presidente della comunità ebraica di Milano si sentono difesi dalla destra e non dalla sinistra. Come si è potuti giungere a tanto?
Alla vigilia della istituzionalizzazione della Giornata della Memoria proprio un ebreo italiano, Vittorio Foa, uomo di sinistra, antifascista che del fascismo conobbe il carcere, mi rilasciò un'intervista in cui dichiarava la sua contrarietà alla Giornata della Memoria perché disse "non mi piace l'idea di istituzionalizzare la memoria. La memoria o ce l'hai o non ce l'hai. Io non posso dire che tu devi ricordare, non lo posso dire. Posso invitarti a ricordare perché è importante che tu lo faccia, posso raccontarti le cose che ho visto o che ho letto o che ho saputo, questo è bene che lo faccia perché bisogna aiutare gli altri a sapere, ma non posso dire che tu devi ricordare il giorno tale, questo no". Il discorso di Foa era chiaro: o la Giornata della Memoria è spontanea e vive di vita propria o diventa una stanca retorica che attraverso il controllo delle istituzioni rischia di svalutare la Shoah. È esattamente ciò che è accaduto. Però, è accaduto a sinistra e non a destra. Ed è accaduto perché la sinistra si è sentita talmente padrona della memoria - che ha usato nei confronti della destra per tenerla sempre ai margini della vita civile e politica - che quando sulla scena è apparso con tutta la sua forza tragica il conflitto israelo-palestinese ha subito individuato non nei terroristi di Hamas ma nel governo Netanyahu il colpevole di un nuovo genocidio prim'ancora che Israele reagisse al pogrom del 7 ottobre. Umberto Terracini, ancora un uomo di sinistra, padre costituente, comunista, dopo la Guerra dei sei giorni lo aveva previsto: "La crociata contro Israele è l'ultima incarnazione dell'antisemitismo". Così abbiamo assistito alla nascita di un delirio organizzato o di una isteria collettiva in cui gli ebrei sono stati messi nel mirino: prima i turisti, poi le università, quindi i farmaci, i professori, i calciatori, gli atleti, gli attori. Si sono stilate delle nuove liste di proscrizione sulla base di un sillogismo tanto falso quanto efficace in un mondo che non si basa più sui fatti e il giudizio ma sulla post-verità e la propaganda: lo Stato ebraico compie un genocidio, tu sei ebreo, tu compi il genocidio. Attraverso la strumentalizzazione del dolore altrui e il capovolgimento dei fatti e della storia si è creata una grande campagna propagandistica che ha un solo scopo: il consenso interno. Il risultato è la banalizzazione della categoria del genocidio, la criminalizzazione di un alleato occidentale come la democrazia d'Israele e la riapertura in Italia della ferita tra italiani ed ebrei italiani.
Il 27 gennaio non è più la Giornata della Memoria ma la Giornata dell'Ipocrisia. Serve un nuovo 27 gennaio. È un dramma nazionale creato da una sinistra che, lo voglia o no, non è mai culturalmente uscita dal dopoguerra e dalla sua storia dipendente dal comunismo sovietico.