Cronache

L'italiano che fa luce sul buco nero che spegne le stelle

Francesco Tombesi lavora alla Nasa ed è finito sulla copertina dell'ultimo numero della prestigiosa rivista scientifica rivista "Nature"

Francesco Tombesi
Francesco Tombesi

È l'urlo oscuro dell'universo. Ascoltatelo. È come un vento che spazza via tutte le stelle, spegne le luci, al centro del tutto, lì dove un giorno tutto avrà fine, magari con un sussurro, come una buonanotte. Lo chiamano Attila, perché dove arriva il suo respiro non cresce più nulla. È il deserto. Ora pensate ai Pink Floyd, alla quinta traccia di The Dark Side of the Moon. Non ci sono parole. Solo note, che vibrano nel vuoto con il sintetizzatore. È The Great Gig in the Sky. Il grande spettacolo nel cielo. E immaginate il lungo assolo vocale di Clare Torry. L'effetto deve essere questo. «Cosa devo cantare?». «Pensa alla morte», fu la risposta di Roger Waters. Dovrebbe essere qualcosa di simile.

Tutto questo accade in una galassia lontana lontana. Ma non è Guerre Stellari. È la storia di un astrofisico italiano di 33 anni. Si chiama Francesco Tombesi. È nato a Recanati, dove l'infinito è dietro una siepe oltre l'ultimo orizzonte. È cresciuto a Sambucheto, frazione di Montecassiano. Il padre è postino, la madre impiegata. Ora Francesco lavora alla Nasa ed è finito sulla copertina dell'ultimo numero di Nature. È lui il protagonista di questa storia.

Attila è un buco nero. È un corpo massiccio che nessuna particella può fuggire e una massa così densa da deformare lo spaziotempo. Si trova a 2,3 miliardi di anni luce da noi, al centro della galassia Iras F11119+3257, che per brevità chiameremo Thule, altrimenti sembra l'Iban o il codice fiscale di un contrabbandiere. La grandezza di Francesco Tombesi è di aver risolto un giallo. E lo ha fatto un po' con il metodo di Sherlock Holmes: alla fine la soluzione è quella che resta quando cadono tutte le altre. Chi sta uccidendo le stelle? «La prima ipotesi - racconta - è che questa galassia ha una produzione stellare molto elevata. Forse sono i venti generati dalle stelle stesse a creare il deserto. O l'esplosione di supernove. Non è così. Il responsabile non poteva essere che il buco nero super massiccio».

È così che lavora la scienza. Tentativi ed errori. Finire su Nature con il titolo Growing in the Wind è da pop star dell'astrofisica. Francesco ora vive a Washington, a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca. Non chiamatelo cervello in fuga. È andato alla Nasa per cogliere un'opportunità. Un grazie - confessa sulle Cronache maceratesi - deve dirlo al tabaccaio di Sambucheto che gli metteva da parte una copia del settimanale Viaggio nel cosmo. Come si arriva a sfidare Attila? Il segreto è il buio. «Sono cresciuto in paese, con un cielo diverso, senza tante luci artificiali. Quando di notte torni a casa vedi sempre le stelle e la luna». Il buco nero era solo un po' più in là. Bastava solo immaginarlo.

Oltre questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte, lo sguardo esclude.

Commenti