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Da liturgia del passato a nuovo videogame

Da liturgia del passato a nuovo videogame

Nell'era mediatica del Terzo millennio tutto fa spettacolo, persino normali rappresentazioni della vita pubblica possono diventare uno show. Sarà da studiare la metamorfosi pop delle consultazioni del Quirinale per la formazione del nuovo governo, un esausto rito della liturgia repubblicana oggi assurto a videogame che attira anche i giovani. L'azione invasiva dei social è riuscita a volgarizzare - nel senso divulgativo del termine - una rappresentazione di palazzo a schema libero, orfana di qualsiasi disciplina giuridica, anche se va in scena secondo un copione di immutata consuetudine che si ripete ormai da settant'anni. Nessuna norma scritta è stata lasciata in proposito dai padri costituenti, quando nell'Italia dei cavilli persino un'assemblea di condominio è regolamentata dal codice civile.

Da messa laica officiata dal presidente della Repubblica a simpatica baraonda ad uso dei media, amplificata dall'hashtag #consultazioni2018 che ha trasformato l'austera procedura in una partita di calcio o un festival di Sanremo da commentare in tempo reale. E forse alla gente piace un format da tv generalista che mescola l'alto e il basso, i corazzieri che sbattono i tacchi con le domande surreali dell'ex Iena Lucci che costringe i politici schierati nel corridoio della Vetrata a rompere l'ufficialità. Si ride, si calpesta il protocollo, ci si dà allegramente del tu.

Le cineteche del passato rimandano a leader compunti che tromboneggiavano con termini aulici davanti al plotone dei giornalisti, senza mai infrangere l'ufficialità. Da Berlinguer ad Andreotti, erano in fondo dei cinquanta-sessantenni tutt'altro che decrepiti anche se percepiti come saggi capi tribù. Non twittavano, non indossavano la felpa, non gridavano durante i talk show. Anzi, si presentavano in spiaggia ad agosto con la giacca e i pantaloni rimboccati, come Moro.

Per questo stride il contrasto tra l'etichetta del padrone di casa, il presidente Mattarella, e il circo chiassoso che ha piantato le tende al Quirinale. L'attuale capo dello Stato, per sortilegio, potrebbe comparire in una foto stinta degli anni '50 insieme agli statisti dc Fanfani e Pella. Un gran signore d'altri tempi con la chioma candida e cotonata, il completo grigio a tre pezzi, l'eloquio forbito e misurato. Eppure lo specchio deformante del popolo social bypassa beffardamente il suo carattere istituzionale per ridurlo a un rude oste romanesco che «sfancula» i partiti con volgarità assortite pur di non conferire loro l'incarico.

E così sghignazzando, da un'amenità all'altra. Le delegazioni partitiche che si presentano a piedi sono dipinte come scolaresche indisciplinate che vagabondano per Roma pur di bucare l'ora di latino. Ogni fotogramma di Salvini o Di Maio in processione al Colle si trasforma in vignette satiriche che, al netto delle battute triviali, certificano l'impotenza della nuova classe dirigente a costituire un esecutivo in tempi rapidi.

Domani si rialza il sipario con il solito cast che copre tutti i ruoli in commedia: gli aspiranti premier, i leader sornioni che aspettano in disparte il momento propizio, gli apolidi del gruppo misto, le involontarie macchiette che abusano dei loro cinque minuti di celebrità per lanciarsi in astruse dissertazioni politologiche. Avanti con il secondo giro al Quirinale, difficilmente risolutivo. E vedrete che dal terzo in poi scatterà l'effetto partecipazione per tutti gli italiani che finora non si erano sentiti coinvolti. Se ci fosse ancora un ceto medio alla Fantozzi, sarebbe il momento di riabilitare la cena compulsiva con frittatona di cipolle e birra gelata.

Trattoria del Colle, la cucina degli italiani.

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