T utto il mondo è Paese: come, in Italia, la magistratura politicizzata fu a lungo la più pericolosa avversaria di Silvio Berlusconi, così un gruppo di ministri della Giustizia (o procuratori generali) degli Stati che hanno votato per Hillary Clinton e di giudici federali nominati da Obama sta diventando l'anima della resistenza contro Trump. «Voi dovete diventare l'ultimo baluardo difensivo della legge e della Costituzione contro una presidenza che le calpesta» li ha esortati dieci giorni fa Debbie Wasserman-Schultz, già presidente del Partito Democratico, e i risultati già si vedono.
È stato uno di loro, l'attorney general dello Stato di Washington Bob Ferguson, a chiedere e ottenere la sospensione del discusso decreto presidenziale che per ragioni di sicurezza - aveva sospeso per 90 giorni l'ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette Paesi musulmani e bloccato definitivamente l'accoglienza di profughi dalla Siria; ed è la Corte d'appello di San Francisco, dove due giudici su tre sono di nomina democratica, a esaminare in queste ore il ricorso dell'amministrazione contro la sentenza, con la quasi certezza che lo respingeranno. Intanto altri ministri, Schneideman di New York, Healey del Massachussets, Becerra della California, Dong Chiu delle Hawaii e una decina di colleghi che ormai lavorano in stretto collegamento stanno ricalcando, con altre motivazioni, le orme di Ferguson, inducendo Hector Balderas del Nuovo Messico (uno Stato che pure nelle presidenziali aveva votato per Trump) a proclamare trionfalmente: «Stiamo diventando, in potenza, il quarto ramo del governo». «Useremo tutti gli strumenti disponibili per contrastare i decreti incostituzionali e salvaguardare i nostri valori» gli ha fatto eco la Healey da Boston. Perfino la decisione di dare la precedenza ai profughi cristiani è stata messa in discussione in quanto contraria all'eguaglianza delle religioni.
La tattica dei «resistenti» è di avviare procedimenti legali (come consente loro di fare una Costituzione che risale a oltre due secoli fa) contro qualsiasi decreto presidenziale che a loro avviso - possa provocare un danno al loro Stato o anche solo a uno dei suoi cittadini; e le possibilità di bloccare, o per lo meno di ritardare con questo sistema le iniziative della Casa Bianca più invise all'opposizione democratica sono praticamente infinite. Diversi ministri, per esempio, hanno già manifestato l'intenzione di opporsi alla deportazione degli immigrati clandestini voluta da Trump, con il pretesto che danneggerebbe le rispettive economie. Altri decreti suscettibili di intervento riguardano l'ambiente e la finanza Dopo due gradi di giudizio, molti casi, a cominciare proprio dal decreto sulla immigrazione, finiranno davanti alla Corte Suprema, dove c'è oggi un perfetto equilibrio (4 a 4) tra conservatori e progressisti e soltanto dopo la ratifica da parte del Senato del giudice Gorsuch, designato la scorsa settimana da Trump ma sabotato dalla minoranza democratica, la nuova amministrazione avrà una ragionevole speranza di prevalere.
La reazione di Trump al ricorso di Ferguson, accolto dal giudice James Robard, è stata a dir poco furiosa. Oltre a definire Robard un «cosiddetto giudice», ha twittato: «Che fine farà il nostro Paese se un singolo giudice può azzerare una decisione presidenziale che riguarda la sicurezza nazionale, permettendo a chiunque, anche con cattive intenzioni, di entrare negli Stati Uniti?».
Comunque, il conflitto aperto con la giustizia (se l'è presa perfino con il presidente della Corte Suprema John Roberts, repubblicano) potrebbe avere conseguenze pericolose per il presidente: anzitutto, l'accusa di interferire arbitrariamente con la giustizia, e, soprattutto, un serio ostacolo alla possibilità di governare per decreto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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