
Del summit in Alaska è meglio concentrarsi sul bicchiere mezzo pieno dello spiraglio di luce verso la fine della guerra nel cuore dell'Europa. Piuttosto che quello mezzo vuoto di Donald Trump che accoglie con il tappeto rosso Vladimir Putin in Alaska sdoganandolo da paria dell'Occidente. L'importante è che la trattativa vada avanti verso il secondo passo, cruciale, di un incontro a tre con Trump, Putin e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per la prima volta faccia a faccia. I nodi, però, stanno venendo al pettine e trovano l'Italia e la proposta di garanzie di sicurezza a Kiev, con una formula simile all'articolo 5 della Nato sulla difesa collettiva, in prima linea. "Considero positivo - scrive il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni - il fatto che si stiano aprendo degli spiragli di pace in Ucraina. L'accordo è ancora complicato ma finalmente possibile, soprattutto in seguito allo stallo che si è creato da molti mesi lungo la linea del fronte". In realtà i russi avanzano, anche se in una lenta e sanguinosa guerra d'attrito. Il primo nodo dei territori è sul tavolo: il nuovo Zar si accontenterebbe del rimanente 25% della regione di Donetsk in mani ucraine, dove si combatte duramente. Così potrebbe sventolare una vittoria (di Pirro) in Russia con la "liberazione" di tutto il Donbass. In cambio a Kiev dovrebbero venire restituite le fettine di territorio occupate dai russi più a Nord nella zona di Sumy e Kharkiv. Un amaro calice per gli ucraini, ma il rischio è che i russi continuino la guerra d'attrito conquistando lo stesso il Donbass, forse fra un anno, con un'ulteriore montagna di morti, feriti e distruzioni.
L'amputazione territoriale, dopo 3 anni e mezzo di resistenza e sacrifici, è dolorosa, ma forse il nodo cruciale riguarda le garanzie per evitare nuovi attacchi in futuro. Non è un caso che dopo il summit, il primo punto del netto comunicato dei paesi volenterosi europei compresa l'Italia, firmato anche dalla presidente Ue, Ursula von der Leyen, riguarda le "garanzie di sicurezza" per l'Ucraina. La nota sottolinea che devono essere "solide, credibili e a lungo termine, incluso il sostegno costante di Europa, Stati Uniti e altri partner per rafforzare le sue forze armate. Accogliamo con favore l'impegno del presidente Trump in questo senso".
Putin, in cambio della "pace", che sarà comunque ingiusta, pretende una sorta di smilitarizzazione dell'Ucraina e ha ribadito il secco "niet" all'ingresso di Kiev nella Nato, ma non nell'Unione europea. La quadratura del cerchio potrebbe essere l'idea, già proposta in marzo, dal presidente Meloni: "L'attivazione di garanzie di sicurezza, tra l'Ucraina e le Nazioni che intendono sottoscriverle, sul modello del meccanismo dell'art. 5 del Trattato Nato, e ciò non implica necessariamente l'adesione di Kiev all'Alleanza Atlantica".
L'articolo 5, attivato solo dopo l'11 settembre, fa scattare la difesa collettiva, nel caso uno Stato membro dell'Alleanza venisse attaccato, anche se non in maniera automatica. Ogni paese alleato può decidere un'azione "che giudicherà necessaria" e non necessariamente "l'uso della forza armata".
Dopo il summit in Alaska "il Presidente Trump ha ripreso l'idea italiana di garanzie di sicurezza che si ispirino all'articolo 5 della Nato" ha dichiarato con una nota Meloni. "Il punto di partenza della proposta è la definizione di una clausola di sicurezza collettiva - spiega - che permetta all'Ucraina di beneficiare del sostegno di tutti i suoi partner, Usa compresi, pronti ad attivarsi nel caso sia attaccata di nuovo".
Un funzionario europeo ha confermato che le telefonate di Trump con il vecchio continente, dopo l'incontro con Putin, hanno riguardato le garanzie di sicurezza per l'Ucraina "tipo articolo 5".
Però senza coinvolgimento diretto della Nato, ma probabilmente con la formula europea dei volenterosi e un robusto ombrello nucleare americano in caso di necessità. L'importante è che il bicchiere rimanga mezzo pieno e non si scivoli verso un diktat, nei confronti degli ucraini, pur di spegnere l'incendio che divampa nel cuore dell'Europa.