Londra «Non sono tanto preoccupata per me, quanto per i miei figli. Loro sono nati in Europa, questa Brexit compromette il loro futuro». Nancy, cinquantadue anni, londinese doc, è una delle migliaia di persone che ieri sono scese in piazza nella capitale britannica per chiedere un secondo referendum. Una marea colorata e pacifica un milione secondo gli organizzatori che ha marciato con bandiere europee e striscioni, caricature in cartapesta di Theresa May e travestimenti vari, convinta che la sola via d'uscita dall'enorme pasticcio combinato dai politici sia dare alla gente un'altra possibilità di dire la propria opinione.
Sono partiti da Park Lane insieme ai figli e ai nipoti per dirigersi tutti insieme verso Parliament Square, gente comune e rappresentanti delle istituzioni, primo tra tutti il sindaco di Londra Sadiq Khan, da sempre sostenitore della necessità di rimanere in Europa. Alcuni hanno percorso anche 200 miglia a piedi per partecipare alla manifestazione come Ed Sides, che ha lasciato Swansea due settimane e mezzo fa per arrivare puntuale alla marcia. Durante il percorso ha perorato la sua causa, ma ha ascoltato con attenzione i pareri opposti convinto che «solo un dibattito sereno sulla Brexit può aiutarci a trovare una soluzione». Moltissimi i giovani, compresi quelli che due anni e mezzo fa non avevano l'età per partecipare al voto e adesso si sentono vittime, loro malgrado, di quel risultato. E molte famiglie composte da nazionalità differenti come quella di Simon, sposato a una signora francese. «I miei due figli sono anglo-francesi e questo ci ha già causato un sacco di problemi - spiega abbiamo dovuto chiedere dei passaporti differenti spendendo parecchio. Alcuni nostri amici, una coppia tedesca e spagnola, hanno già lasciato Bristol per colpa della Brexit».
La manifestazione londinese si è conclusa in giornata mentre si avvicina a Londra l'altra marcia pro-Brexit partita da Sunderland una settimana fa con il supporto dell'ex leader dell'Ukip Nigel Farage che si e' unito ai manifestanti ieri mattina a Linby, vicino a Nottingham. «Theresa May ha ridotto la nazione all'umiliazione totale» ha dichiarato senza mezzi termine Farage. Sempre ieri ha superato i quattro milioni di firme la petizione per chiedere la revoca dell'articolo 50 e la conseguente cancellazione della Brexit. La sua ideatrice, Margaret Georgiadou di 77 anni, una lettrice universitaria in pensione, si è detta felicissima del sorprendente risultato sebbene l'iniziativa le abbia procurato anche delle minacce di morte che l'hanno terrorizzata.
Sul fronte politico la situazione resta molto critica e per Theresa May sono giorni pesanti. Sono sempre di più i parlamentari che chiedono le sue dimissioni. Il primo ministro ieri ha fatto sapere che la terza votazione sul suo accordo, in programma la settimana prossima, potrebbe venir ritardata fino a che May non sarà sicura di non avere l'appoggio sufficiente a farlo passare. Ma la votazione rimane la condizione posta dall'Europa per garantire lo slittamento della data di uscita al 22 maggio. Se l'accordo non passa o il Regno Unito trova un piano alternativo oppure deve uscire senza paracadute entro e non più tardi del 12 aprile. «A questo punto tutto è possibile ha dichiarato il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk Brexit è nelle mani dei nostri amici inglesi».
Di sicuro non è più da tempo nelle mani della premier che sembra aver perso del tutto il controllo della situazione. Ieri il Times raccontava che al governo si sta già discutendo della data delle sue dimissioni, notizia smentita in giornata da Downing Street.
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