Guerra in Ucraina

L'Opa "alla rovescia" di Putin: comprare in rubli gli eurobond

Offerta in valuta locale su titoli di Stato in dollari vicini alla scadenza. La moneta dello "zar" torna sui massimi

L'Opa "alla rovescia" di Putin: comprare in rubli gli eurobond

Tocca ammetterlo: alla Russia non manca una sorta di genialità finanziaria, anche se un po' troppo disinvolta nel far carta straccia degli impegni presi. Adesso, Mosca si è inventata l'Offerta pubblica di acquisto sul proprio debito sovrano. Un'Opa sui generis poiché il 4 aprile è alle porte, ed è giorno in cui va rimborsato un maxi-bond da 2 miliardi di dollari. La proposta è questa: invece di incassare biglietti Usa, accetti il versamento in rubli. Con tasso di cambio stabilito dalla Banca di Russia.

È un rovesciamento di prospettiva rispetto alle richieste avanzate all'Europa per il pagamento del gas, ma che dà la misura di come Vladimir Putin intenda fare della valuta nazionale sempre più uno strumento di guerra economica. È il terzo pilastro della strategia russa, non meno importante di quello militare e di quello negoziale. L'apparente semplificazione e banalizzazione dei rapporti contrattuali («Le aziende straniere possono acquistare rubli con euro e dollari e pagare così il gas. Di fatto niente è cambiato», ha detto ieri il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov) è un mero stratagemma per togliere il rublo dal tritacarne delle sanzioni, acquisire resistenza finanziaria e gettare le basi per il dopoguerra. Anche l'introduzione del rublo nelle aree occupate dell'Ucraina, come denunciato dalla banca centrale di Kiev che parlava ieri di «violazione del diritto internazionale», risponde alla logica di limitare la circolazione della grivnia (la moneta ucraina) in modo da acuire la già drammatica crisi umanitaria e preparare, fin d'ora, un possibile changeover valutario.

Resta il fatto che l'idea dell'Opa sul debito ha l'aria di essere un po' tagliata con l'accetta. Mancano dettagli fondamentali, a cominciare da cosa succede se un creditore considera la proposta indecente, non volendo incassare una moneta praticamente bandita in quasi tutto il globo terraqueo. Quasi impensabile che alcuni big internazionali della finanza detentori dell'obbligazione, tra cui Axa, Morgan Stanley Investment Management, BlackRock e Brandywine, acconsentano. Il sospetto, fondato, è che Mosca punti in realtà sugli investitori e sulle banche locali. Sottoposti a restrizioni nella ricezione di pagamenti in dollari, sono l'anello debole della catena. E, quindi, potrebbero piegare la testa, così permettendo di ridurre l'ammontare di greenback da rimborsare. Sempre che, in caso di rifiuto, il Cremlino non imponga d'imperio la sottoscrizione dell'offerta.

È tuttavia verosimile che dalla conversione in rubli resterà fuori una grossa fetta del controvalore in dollari. Il bond gode dei 30 giorni di grazia successivi alla scadenza, e quindi Mosca ha tempo fino al 4 maggio per onorare i propri impegni, come finora ha sempre fatto (l'ultimo versamento è del 22 marzo per una cedola di 102 milioni di dollari), ed evitare un altro default dopo quello del 1998. A condizione che, nel frattempo, non venga revocata la dispensa dalle misure di ritorsione con cui l'Office of Foreign Assets Control, braccio del Tesoro Usa, consente fino al 25 maggio a persone fisiche e aziende statunitensi di ricevere pagamenti dalla Russia.

Gli occhi dei mercati restano quindi puntati sulla solvibilità russa, anche se ieri l'attenzione è stata catalizzata dai colloqui in Turchia per il cessate il fuoco. I primi spiragli di pace hanno permesso alle Borse europee di chiudere in forte rialzo (+2,4% Milano, +1,7% lo Stoxx600), mentre il prezzo del gas è sceso ad Amsterdam del 3,6% a 97,6 euro e quello del petrolio di circa il 3%. Putin guarda però altrove: al suo rublo, risalito a quota 88 contro il dollaro, un livello superiore a quello prima della guerra.

Nessuno, a parte lui, ci avrebbe scommesso un copeco.

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