RomaIl coro dei pareri è unanime: alla fine la svolta storica promessa da Renzi c'è stata. Addio alla lottizzazione dei Tg, arriva l'era del monocolore. Al di là delle bordate delle opposizioni, le bocciature più pesanti sono quelle delle grandi firme ex colonne della Rai, come Enrico Mentana e Giovanni Minoli.
«Questa storia del cambio di direttori nei tg Rai è tristissima e pacchiana insieme», chiosa su Facebook il direttore di TgLa7. Che dà una lettura chiara della renzianizzazione: «È chiaro che l'obiettivo era rimuovere Bianca Berlinguer dal Tg3. Ed è chiaro che i top manager Rai questo obiettivo proprio non se lo erano prefisso, tanto è vero che poche settimane fa sono stati presentati i palinsesti della nuova stagione, senza tenere conto di un possibile spazio risarcitorio per lei. Insomma, l'ordine è venuto improvviso e da fuori». Tra l'altro, il piano per le news di Carlo Verdelli è all'esame praticamente in contemporanea alle nomine. La sensazione è che, nonostante le nomine di consulenti dai nomi altisonanti, alla fine la gestione sia stata tutta politica. Anche Minoli rimarca che la decisione è stata presa «senza nessun progetto». «Non si capisce - incalza il giornalista - cosa abbia progettato la direzione di Verdelli. Non so se serviva una struttura dedicata all'informazione per eliminare la Berlinguer». La scelta di puntare su giornalisti interni per le direzioni probabilmente doveva smussare gli angoli, ma anche questo non basta a convincere i critici. «Quanti stipendi ci vogliono per licenziare la Berlinguer? Allora valeva molto...», accusa ancora Minoli. Per Enrico Mentana è anche evidente che l'accelerazione sia collegata alla campagna per il voto popolare sulle riforme costituzionali. «In vista del referendum? Direi proprio di... sì - scrive ancora Mentana - Ma per non farla troppo evidente si è pensato di non sostituire solo lei. Quindi via anche Masi dal Tg2, così, per compagnia, per dimostrare alla Commissione di Vigilanza che non è un fatto personale, e politico. Una foglia di Fico, insomma».
Non meno dure le reazioni politiche, a partire da quelle interne al partito del premier. «La vicenda Rai di questi giorni - dice Pier Luigi Bersani - raffigura un Pd pienamente partecipe dei vecchi vizi. Questo non può essere in nessun modo il volto del Pd». Non ci va leggero nemmeno Cuperlo su Twitter: «#Renzi l'aveva promesso: fuori i partiti dalla #Rai. Dentro, solo il governo».
Durissimi gli azzurri Gasparri e Brunetta: «Renzi come Erdogan» e per Mariastella Gelmini, membro della Vigilanza Rai, «non è un bel regalo al servizio pubblico trasformare la Rai in un comitato elettorale per il Sì al referendum istituzionale». Per i Cinque stelle Alessandro Di Battista annuncia la mobilitazione: «Se loro occupano la Rai noi staremo in piazza». Di fatto, le prese di posizione di queste ore aprono a un fronte comune in Vigilanza tra bersaniani, Forza Italia, M5S e Lega contro il direttore generale Antonio Campo Dall'Orto.
E c'è addirittura un Carlo Freccero ottimista sull'esito finale: «Anche io faccio una previsione - dice il membro del cda Rai - Le nomine non ci saranno. Perché? Il motivo è semplice: non ci saranno, perché non si può fare un monocolore, una scelta degna della vecchia Dc anni '50. Non è possibile. Il Pd non è autoritario, non è come la vecchia Dc». Ma ha tutta l'aria di essere una profezia molto ottimista, perché, nonostante i mal di pancia anche di Alfano e dei Giovani Turchi Pd, il cda Rai è blindato.
Amara la conclusione di Mentana: «Masi sarà danno collaterale di una guerra politica, che conferma al di là di ogni sarcasmo che tutti noi paghiamo la Rai nella bolletta della
luce, ma le mani sull'interruttore sono sempre le stesse». Gli fa eco Pierluigi Battista: «Non è vero che il governo è imballato. Il nominificio Rai funziona alla grande. C'è anche la copertura finanziaria: il canone».GiMa
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