"L'orrore è che siamo tutti in mano al Caso"

Il comico ligure Vergassola: vedevamo il ponte sempre controllato, ci sentivamo sicuri. Invece...

"L'orrore è che siamo tutti in mano al Caso"

«Sono annichilito. È una tragedia vera. È come se a Milano crollasse il Duomo, è come un attentato terroristico. Lascia tutti sgomenti, ci rende tutti più vulnerabili». Dario Vergassola, comico e attore ligure, spezzino per la precisione, ha il tono triste di chi si sente impotente di fronte all'imponderabile. «Io sul Morandi ci sono passato migliaia di volte. E spesso in auto l'ho attraversato a passo d'uomo. Se fosse crollato in un momento di grande traffico... mi vengono i brividi. E ora sono sbigottito. Come quei centralinisti che faticavano a capire le richieste di aiuto».

Dario, a quel ponte era affezionato?

«Era un passaggio obbligato, per andare al porto, all'aeroporto, in Francia, a Torino. Passavi sempre di lì. Era brutto, per carità, ma era il nostro ponte di Brooklyn, il più alto d'Europa. Un vanto per noi liguri e ora è come se la Liguria fosse spezzata in due, un disastro per la logistica».

Vergassola, lei è un ansioso, ma a Genova ci passava senza problemi sul suo ponte...

«Arrivo dal Sud e ho visto tronconi sospesi, situazioni molto precarie. Invece il Morandi era in continua manutenzione, c'era sempre gente a lavorarci, non era un ponte abbandonato a se stesso. Pensavo che fosse controllato per bene e questo fatto mi dava sicurezza. È come avere un pronto soccorso vicino a casa e ti senti tranquillo perché sai che ti può salvare la vita invece quando ti serve ci vai e muori lo stesso».

La certezza non esiste...

«Una roba così mi ricorda che siamo vivi per caso. Siamo in mano alla casualità. Se uno va in bagno si salva. Se uno si cambia le scarpe e perde tempo ad allacciarsi le stringhe si salva. La fatalità ha salvato alcuni e ne ha fatti morire altri. Un semplice attimo ha cambiato i destini di ragazzi, bambini e di intere famiglie. È un valzer di coincidenze: ma com'è possibile che uno possa perdere la vita per una coincidenza?».

Questi eventi ti rendono vulnerabile?

«Quelle poche certezze che ti danno il Lexotan o le chiacchiere al bar la sera ti vacillano in un attimo. E come se una moto entrasse al ristorante e ti facesse secco in un colpo mentre sei seduto al tavolo».

Vergassola, si avverte il lutto collettivo?

«Mi chiamano amici e parenti e mi chiedono come stai? Ma che diamine, io sono vivo, non ero sul ponte in quell'attimo maledetto. Penso invece ai genitori di quei ragazzi morti, ai bambini, mancano le parole per esprimere il cordoglio. E capisco quei parenti che non vogliono i funerali di Stato. Il dolore è una cosa privata, sarà difficile elaborare questo lutto così ingiusto».

Lo vuole un altro ponte?

«Sì, ma sei mesi, come dicono, per rifarlo mi sembra a occhio un po' pochino. Mi accontenterei di vederlo su in un anno.

Ma, basta cemento, meglio l'acciaio, perché si sa che il cemento dopo qualche anno non regge più. Che ironia però: noi avevamo l'Ilva, eravamo leader nella produzione dell'acciaio e invece... Siamo stati letteralmente soffocati dal cemento».

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