
Rimasta fuori dall'Alaska, da quella base Elmendorf-Richardson che il 15 agosto ad Anchorage ha visto la prima stretta di mano tra Trump e Putin a invasione ancora in corso, l'Ue è costretta a rincorrere gli eventi anche in casa propria. E perfino a dire, due mesi dopo quella tappa a cui Ursula von der Leyen non partecipò, che qualsiasi incontro che va verso un processo di pace giusta e duratura per l'Ucraina "è il benvenuto".
Da quel discusso tappeto rosso con cui gli Usa hanno accolto il presidente russo, con la Commissione europea alla finestra, siamo alla vigilia di una nuova mossa diplomatica americana: Mosca sembra pronta ad accettare l'ospitalità nel Paese Ue più vicino alla Federazione, da tempo spina nel fianco nelle decisioni finali che i Consigli europei e i vertici dei 27 ministri degli Esteri hanno preso in materia di sanzioni alla Russia e sostegno a Kiev. È utile, per Mosca, incontrare Trump a Budapest per assestare un nuovo colpo all'unità Ue. Che per non essere completamente tagliata fuori dal processo si vede costretta ad accettare obtorto collo la decisione di Washington. E perfino a dire che, per Putin, "non ci sono divieti di viaggio di per sé" sul territorio Ue. Lo ha chiarito la portavoce della Commissione, Anitta Hipper.
Bruxelles si trincera dietro un giudizio di opportunità. Secondo il Financial Times, l'Ue avrebbe pure proposto di utilizzare parte del prestito di 140 miliardi di euro garantito dai beni russi congelati per acquistare armi statunitensi da inviare a Kiev, garantendo al Paese guidato da Zelensky d'essere in grado di difendersi anche in futuro. La maggior parte del prestito sarebbe utilizzata per sostenere l'Ucraina e le industrie della difesa europea nell'ambito del piano "Prontezza 2030". E ieri von der Leyen è volata a Parigi per trovare un'intesa con Macron, che aveva ottenuto l'introduzione della "preferenza" delle armi europee rispetto a quelle a stelle e strisce. Si potrebbe "prevedere una cooperazione con partner internazionali che si impegnino a fornire un sostegno aggiuntivo sostanziale" a Kiev, scrivono gli sherpa Ue; mantenendo un delicatissimo equilibrio tra necessità di garantirsi un credito di immagine con Trump, figurando come entità che svolge un ruolo, pur nella coerenza degli investimenti annunciati per produrre sistemi Made in Europe.
Quanto ai dubbi espressi dal premier belga De Wever sul meccanismo dei prestiti all'Ucraina che vedrebbero a garanzia gli asset russi immobilizzati, proposto dal cancelliere tedesco Merz per uscire dall'irrealizzabile confisca, potenzialmente resta una linea rossa la condivisione dei rischi legali da parte dei partecipanti (a quanto pare tutti gli Stati membri a parte l'Ungheria di Orbán). È lontana una sottoscrizione "legalmente vincolante" e di responsabilità collettiva nel caso in cui uno o più Paesi in futuro dovessero abbandonare lo schema. Le garanzie dovrebbero essere "illimitate nel tempo". Questione affrontata solo di striscio all'Ecofin, dove sono emersi dubbi sulla copertura legale. Perplessità anche dalla Bce: che teme di far perdere all'Ue la fiducia degli investitori esteri.
Ci si aspetta che al Consiglio europeo della prossima settimana vi sia un primo "via libera" per permettere alla Commissione di presentare un testo "più tecnico". Ma difficilmente si arriverà ad una soluzione legislativa entro fine anno.