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L'ultima scalata dei tecnici

Banchieri, ingegneri, prefetti, costituzionalisti, manager. Il carburante dei "competenti" che hanno messo in marcia il governo Draghi comincia a scarseggiare nell'ultima salita.

L'ultima scalata dei tecnici

Banchieri, ingegneri, prefetti, costituzionalisti, manager. Il carburante dei «competenti» che hanno messo in marcia il governo Draghi comincia a scarseggiare nell'ultima salita. Il motore sta perdendo giri in vista del giro di boa del Colle, la madre di tutte la scadenze che ridisegnerà l'assetto politico già la prossima settimana. Se il premier diventerà presidente della Repubblica cambierà tutto, se resterà a Palazzo Chigi nulla sarà più come adesso. Figurarsi se si dovesse votare.

Nel totonomine che ridisegna organigrammi dalla mattina alla sera, in base a convenienze partitiche o leaderistiche, restano sempre in primo piano i nomi dei tecnici. Dallo stesso Draghi, l'esterno di Palazzo per eccellenza, a tutti i suoi ministri presi in considerazione per ogni incarico istituzionale di primo livello. Fosse così il ministro della Giustizia Marta Cartabia, ex presidente della Corte costituzionale avrebbe solo l'imbarazzo della scelta tra diventare la prima donna presidenta della Repubblica o presidenta del Consiglio. Il responsabile del Tesoro Daniele Franco, già direttore di Bankitalia, sembra dover aspettare solo qualche giorno prima di guidare il Paese da Palazzo Chigi. «Cartabia e Franco tecnici straordinari, ma quanto a leadership e senso politico...» riassume in confidenza un ministro alzando gli occhi al cielo. Per non parlare della contestatissima titolare dell'Interno, Luciana Lamorgese, prefetto di lungo corso ma esperta dai corti consensi, al di là dell'incompatibilità con la Lega del suo predecessore al Viminale Matteo Salvini.

Suona una musica diversa in Italia nei confronti dei tecnici, prima celebrati come i «migliori» e oggi visti dall'opinione pubblica come algidi professori distanti dalle tribolazioni quotidiane legate alla pandemia e alla crisi economica. Non è un mistero che nelle trattative tra i partiti, nell'ipotesi di un governo nuovo, si stia ragionando su un premier politico. E soprattutto sulla possibilità di eliminare o ridurre i ministri non parlamentari proprio per allettare le segreterie con tre-quattro poltrone di prima fascia.

Al di là di indiscrezioni e veline, la politica sembra intenzionata a leggere l'elezione del presidente della Repubblica come l'occasione per aprire un nuovo ciclo. E del resto il ritorno alla normalità, prima o poi, dovrà anche passare attraverso soluzioni governative dettate dagli elettori se non da segretari di partito ansiosi di riprendere le deleghe passate alla società civile. Non c'è giorno in cui un super politico, l'ex premier Matteo Renzi, non rivendichi la scelta di Draghi come unico rimedio per sanare l'anomalia di Conte, indecifrabile espressione della società civile dopo elezioni regolari. Non per nulla SuperMario corre sotto traccia per il Quirinale, mentre il suo predecessore si è incartato mestamente tra le beghe inestricabili dei 5 Stelle e le continue disavventure giudiziarie di Beppe Grillo.

Ci sono ancora ritrosie nei confronti dell'opinione pubblica da parte dei partiti prima di rimettersi in proprio senza l'intermediazione di figure esterne. In un eventuale governo post Draghi, i nomi di Giorgetti, Brunetta o Guerini vengono bisbigliati nei corridoi quasi per vedere l'effetto che fa e non proposti come scelte legittime.

Occorre più coraggio, tanto tra un anno gli elettori avranno tutti gli elementi per approvare o disapprovare.

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