Cronache

L'ultima speranza di Bossetti: sì all'analisi dei reperti di Dna

Ce ne sono 54 e sarebbero riconducibili a "Ignoto 1". La difesa: "Ora potremo dimostrare la sua innocenza"

L'ultima speranza di Bossetti: sì all'analisi dei reperti di Dna

Se davvero Massimo Bossetti è l'assassino di Yara Gambirasio, la notizia che ieri arriva dalla Cassazione dovrebbe preoccuparlo. Perché i campioni di Dna decisivi per incastrarlo e condannarlo, raccolti sul corpo di Yara, poi spariti, poi riapparsi, poi chiusi a chiave, adesso forse potranno venire davvero analizzati di nuovo: e anche dai tecnici di fiducia dalla difesa. Se le nuove analisi confermeranno le vecchie, se diranno anch'esse che al 99 virgola 9 periodico «Ignoto 1» è il muratore di Mapello, allora il caso sarà davvero risolto, e a Bossetti non resterà che scontare l'ergastolo.

Invece ieri, quando il suo difensore Claudio Salvagni gli porta in carcere a Bollate la notizia della decisione della Cassazione, l'ergastolano festeggia come chi vede aprirsi uno spiraglio: «Non ho mai perso la speranza, ora dimostrerò che non sono un assassino». Perchè lui, a dieci anni di distanza dalla morte di Yara, e dopo sei anni in cella, non si muove di un passo: «quel Dna non è il mio perché Yara non l'ho mai vista».

La (forse) svolta arriva ieri all'ora di pranzo, quando la Cassazione deposita la decisione che - ed è la prima volta in un percorso processuale filato dritto come un panzer - accoglie un ricorso dei legali di Bossetti. Viene annullata la decisione del tribunale di Bergamo che un anno fa aveva rifiutato la richiesta del condannato di poter accedere ai reperti confiscati nel gennaio 2020: 98 elementi di prova raccolti durante le indagini dai carabinieri, e tra questi ben 54 campioni di Dna rilevati sugli indumenti della ragazzina. Gli slip, i leggins, il giubbotto.

Ma non erano sparite, consumate durante le prime indagini, le tracce biologiche servite per individuare Bossetti? «Così c'è stato detto», spiega Salvagni. «Anzi, durante il processo di primo grado la nostra richiesta di una perizia venne respinta perché secondo la Corte sarebbe stata inutile. Tornammo a chiederla in appello, e lì invee ci dissero che non si poteva fare perché i reperti non c'erano più. La chiedemmo anche in Cassazione, e ci risposero come in appello. Invece un anno fa, quando vennero confiscati dal tribunale negli uffici della Procura, abbiamo scoperto che di reperti di Dna ce n'erano addirittura cinquantaquattro. Cosa ci sia dentro, lo sapremo solo quando potremo analizzarli. Ora speriamo di poter aver accesso a quei reperti che ci sono sempre stati negati e con cui siamo sicuri di poter dimostrare l'innocenza di Bossetti. Ma il dato di fatto è che la condanna definitiva del nostro assistito si basa su un falso storico utilizzato per negarci la perizia».

L'approdo naturale, l'obiettivo che fin da ora i difensori del muratore hanno in testa, è la revisione del processo, un nuovo dibattimento che porti almeno il ragionevole dubbio nelle menti dei nuovi giudici. Non sarà un percorso facile, neanche dopo la decisione di ieri della Cassazione: la palla torna a Bergamo, a un'altra sezione della Corte d'assise che in teoria potrebbe rifiutare nuovamente la consegna dei reperti. Ma sarebbe una ostinazione poco comprensibile, un segno di debolezza da parte di chi in questi anni ha ritenuto arciprovata la colpevolezza di Bossetti. A quel punto, se le 54 tracce verranno sdoganate e analizzate, si potrà finalmente capire se aveva ragione la Procura a considerare inequivocabile il responso del Dna che incastrava Bossetti. O se aveva ragione lui nel contestare, a dispetto di tutti e di tutto, un risultato presentato dagli inquirenti con la implacabilità della certezza scientifica.

Una cosa è sicura: se salta la prova del Dna, salta tutto. Perché, per quanta determinazione carabinieri e procura abbiano messo nell'indagine, invano si troverebbe nel fascicolo d'inchiesta una prova contro Bossetti degna di questo nome: il furgone che passa vicino alla palestra di Yara somiglia a quello di Bossetti ma gli somiglia solo, le sfere di metallo sono più o meno come quelle usate da Bossetti, le fibre di tessuto sono «compatibili» con quelle del Ducato ma non coincidono.

E poi dinamica, movente, percorsi mentali: tutto così vago che al processo d'appello, prima di confermare la condanna, giudici e giurati impiegarono quattordici ore.

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