Diagrammi di Venn, aritmetica e manovre all'Eliseo non sono bastati a Emmanuel Macron per trovare un compromesso con i partiti francesi, utile a garantirgli una qualche forma di governabilità dopo la sberla elettorale incassata domenica. Ieri sera il presidente della Repubblica si è dunque rivolto alla nazione bocciando un governo d'unità nazionale, dando due via d'uscita a una legislatura a forte rischio impasse: «Dobbiamo imparare a governare e legiferare in modo differente, con compromessi nuovi nel dialogo, l'ascolto, il rispetto, in una maggioranza più larga». Una mossa per provare a mettere le opposizioni spalle al muro. O formiamo una coalizione di governo, un ultimatum più che un appello, o cercheremo maggioranze caso per caso.
Non nasconde il momento drammatico, Macron. A due mesi dalla conferma all'Eliseo, e dopo due giorni di consultazioni con i partiti della nuova Camera, non ha cavato un ragno dal buco. «Non posso ignorare le divisioni profonde che attraversano il Paese, prendo atto della voglia di cambiamento». La sua coalizione, domenica, ha ottenuto solo la maggioranza relativa, il Rassemblement National di Marine Le Pen 89 deputati, la coalizione della gauche (Nupes) è prima forza di opposizione, con verdi, radicali, socialisti e «ribelli» di Jean-Luc Mélenchon divisi però sul gruppo comune in aula.
Il presidente guarda quindi negli occhi i francesi, senza assi nella manica da calare in piena crisi: neogollisti e comunisti, lepenisti, verdi e Mélenchon hanno sbattuto la porta in faccia all'unità nazionale ipotizzata dal centrista François Bayrou, alleato del presidente eppure capace di sferrare un attacco (interessato) alla Macronia: «I tempi esigono un premier politico», non un tecnico come Elisabeth Borne. Caos nel caos, con Mélenchon che chiede un voto di fiducia sul governo. Macron prende tempo. «Al mio ritorno cominceremo a costruire questo nuovo metodo». Oggi sarà a Bruxelles per il Consiglio europeo sull'Ucraina. «Dobbiamo rendere più forte l'Europa, e questo non cambierà», dice. Ma intanto, dopo tre giorni di silenzio, tira le somme dalla batosta che ha scosso le certezze di portare in aula potere d'acquisto, clima e pieno impiego a sua immagine e somiglianza: «Bisognerà costruire compromessi, in trasparenza, a cielo aperto, con tutte le forze politiche».
Più di 7 cittadini su 10 si dicono soddisfatti per l'esito del voto, stando a un sondaggio Elabe/BfmTv. «La tenuta della République non è in pericolo, è il macronismo a esserlo», dice Adrien Quatennens, deputato Nupes e coordinatore della France Insoumise, pronto alle barricate. L'ex premier Edouard Philippe invita a cercare analogie tra i partiti. «Siamo pronti a far la nostra parte - dice Le Pen - ma voteremo ciò che andrà nell'interesse dei francesi, il resto lo emenderemo o voteremo contro ciò che non ci convince». No all'ammucchiata. Il successo delle «estreme», fino a ieri considerate al di fuori dell'arco repubblicano, hanno costretto la Macronia al cambio di registro.
La pattuglia del presidente ha già ammorbidito i giudizi; niente più insulti, dialogo. L'equazione resta però irrisolta. Come governare? «So che insieme troveremo la strada del successo collettivo», chiosa Macron. Per la portavoce del governo Olivia Grégoire «tutto è possibile».
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