
Quasi 5 miliardi di euro di danni per l'export del made in Italy. È il prezzo che l'industria manifatturiera italiana rischia di pagare se entrerà in vigore un dazio fisso anche solo nella misura del 10% sui prodotti esportati negli Stati Uniti, come ipotizzato nei negoziati in corso tra Bruxelles e Washington. La stima, elaborata a partire dai dati di un recente studio della vicentina Adacta Tax & Legal, riguarda gli effetti potenziali su un settore trainante del made in Italy che nel 2024, da solo, ha generato oltre 64 miliardi di export verso il mercato americano, in particolare da Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte.
Lo studio di Adacta, in realtà, prendeva in esame due scenari: dazi al 20%, con una perdita stimata di 9,4 miliardi (-14,66% sull'export manifatturiero 2024), e dazi al 50%, con un danno da 23,5 miliardi (-36,65%). L'ipotesi di un dazio al 10% viene dunque calcolata dimezzando l'impatto stimato dallo studio Adacta per i dazi al 20%. E ipotizzando, di conseguenza, una perdita media del 7,33% sul valore dell'export complessivo, che nel 2024 ha toccato i 64,2 miliardi di euro, per un calo complessivo di 4,7 miliardi di euro.
Come già ipotizzato dallo studio, anche dimezzando il dazio le regioni più colpite sarebbero le big four dell'export italiano verso gli Usa: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte, che nel 2024 hanno fatto la parte del leone, realizzando insieme oltre 36 miliardi di export manifatturiero negli States, un valore che è pari a più della metà (il 56%) del totale nazionale. Disaggregando per le quattro regioni il danno stimato dall'ipotesi di un dazio al 10%, la perdita sarebbe di 2,5 miliardi.
Nel dettaglio, 950 milioni di euro mancherebbero alla Lombardia (13,6 miliardi di euro il suo export manifatturiero verso gli Usa nel 2024), 730 milioni è il danno previsto per l'Emilia-Romagna (10,4 miliardi nel 2024), mezzo miliardo quello per il Veneto (7,1 miliardi) e 355 milioni di euro la perdita per il Piemonte (5 miliardi il suo export del settore manifatturiero verso gli States lo scorso anno).
Il manifatturiero, ovviamente, comprende gran parte del made in Italy più amato all'estero, dall'automotive alla moda, dall'arredamento all'alimentare. Gli impatti, sempre secondo lo studio Adacta, potrebbero essere più contenuti per settori come il lusso e i gioielli. Ma se per i brand di lusso dell'automotive i dazi potrebbero non rappresentare un grande problema, si temono invece ricadute per meccanica di precisione, componentistica e automotive generalista o industriale, dove il rischio di una perdita di competitività a causa dei dazi è concreto. E se il comparto orafo del Vicentino rientra nel luxury, a rischio nelle quattro regioni trainanti e in tutto il resto d'Italia sono due colonne portanti del made in Italy come vino e alimentari: qui il peso dei dazi sul prezzo finale salta all'occhio e può indurre i consumatori americani a scegliere un altro prodotto più economico sugli scaffali.
Venerdì scorso, dalla riunione del Comitato per le politiche macroprudenziali di Bankitalia è emerso che l'annuncio dei dazi Usa ad aprile finora ha avuto un impatto contenuto sui mercati italiani.
Tuttavia, «l'incertezza sulle politiche a livello globale rimane elevata», sottolinea ancora Via Nazionale, pur rimarcando le condizioni «stabili» del sistema finanziario italiano. Anche dazi contenuti, insomma, sono un rischio da non sottovalutare per l'export italiano e per la salute della nostra economia.