L'ultradestra ricorda l'omicidio di Ramelli. E l'adunata è sdoganata dalla Cassazione

Per i giudici il saluto romano alle cerimonie come quella di Milano non è reato

L'ultradestra ricorda l'omicidio di Ramelli. E l'adunata è sdoganata dalla Cassazione
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«Faremo come sempre, nulla di diverso: corteo, fiaccole, Presente!"». Lo avevano promesso alla vigilia, e così è stato: il corteo dell'ultradestra milanese per ricordare lo studente Sergio Ramelli, vittima nel 1975 delle spranghe di Avanguardia Operaia, ieri sera ha riproposto senza variazioni di rilievo lo scenario che nel corso degli ultimi anni ha portato la Procura della Repubblica a incriminare puntualmente i manifestanti per i reati di manifestazione fascista e istigazione all'odio razziale. L'evento più importante della «galassia nera» al nord stavolta si è però svolto in un quadro normativo assai cambiato: è stata la prima manifestazione dopo la sentenza con cui le Sezioni Unite della Cassazione, il 18 gennaio scorso, hanno fatto un po' di chiarezza su un tema che da sempre produceva sentenze contrastanti. Fare il saluto romano è reato? Chiamare all'appello i caduti fascisti e gridare «Presente!» è una commemorazione o un delitto?

La Cassazione non ha cancellato completamente il reato, ma ha ristretto sensibilmente il suo campo di applicazione. Così è probabile che quello andato in scena ieri sera sia stato il primo raduno in memoria di Ramelli destinato a non incorrere nei rigori della Procura. I gesti, gli slogan, l'inquadramento militare non sono cambiati. È cambiata la legge, o meglio la sua interpretazione: il saluto romano è un gesto fascista ma perché sia punibile serve un pericolo concreto di riorganizzazione del partito fascista. Mentre nessuno dei gruppi che hanno organizzato in questi anni l'anniversario di Ramelli è stato mai incriminato per quella ipotesi, e alcuni di essi hanno persino potuto presentarsi alle elezioni.

Così il primo corteo «legale» in memoria di Ramelli si svolge ieri sera in un clima un po' anomalo: contrapposizione, sfida esteriore al «sistema», ma tutti sanno che ormai la faccenda è sdoganata. Restano le scelte simboliche: l'adunata parte da piazzale Gorini, davanti all'obitorio milanese dove il 4 maggio 1975 c'era il corpo di Ramelli, morto dopo quarantasette giorni di agonia. Quel giorno ai camerati dello studente diciassettnnnee venne impedito di sfilare dietro la bara, che venne fatta uscire da una porta secondaria.

Ieri invece tutto lecito, autorizzato dalla Questura. In duemila sfilano dall'obitorio, unico simbolo le bandiere tricolori (fino al 2014 circolavano anche le croci celtiche di Ordine Nuovo, poi hanno capito che era meglio soprassedere). Destinazione finale via Paladini, dove Ramelli venne aggredito mentre posteggiava il ciclomotore.

I cordoni si schierano, e parte l'appello, ripetuto tre volte: «Camerata Sergio Ramelli», e la risposta «Presente».

La Digos c'era, farà rapporto, poi a decidere sarà la Procura. Ma già le inchieste sulle sfilate del 2022 e del 2023 languivano, in attesa della decisione della Cassazione. Questa forse non inizierà nemmeno.

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