
L'uomo che ha spesso dettato tempi e agende all'Ue appare fuori sincrono. Non più «padrone degli orologi», né in patria né sul piano internazionale. Onnipresente, sotto i riflettori, avvezzo alle fughe in avanti; talvolta controproducenti, fino a decretare che per la pace «la chiave è avere truppe in Ucraina». Emmanuel Macron (foto) fatica oggi a imporre timing e proposte. Nonostante retorica e presenzialismo, successi fermi all'ascesa fulminea che lo vide consigliere di Hollande all'Eliseo a 34 anni, ministro a 36, presidente della Repubblica a 39.
Perfino il suo europeismo è ormai à la carte, bypassando Bruxelles con vertici a Parigi assieme alla Perfida Albione: che l'Ue l'ha abbandonata. Meno di un terzo dei «27» asseconda i suoi «Volenterosi», passati dal peacekeeping alla produzione di armi per Kiev. Ma Macron insiste. Fallito il dialogo con Putin nel 2022 (giustificato all'epoca dal semestre di presidenza Ue), chiede a Trump di spendersi con il Cremlino per una tregua che apra a contingenti franco-britannici. Parla di pace. Ma infila la sua mano nel dialogo Trump-Zelensky in Vaticano, facendolo quasi saltare, allontanandosi poi su indicazione dei due leader che hanno poi firmato l'accordo sui minerali rari aprendo una fase nuova di trattative con Mosca.
Due mesi fa, Macron disse infatti in tv che alla Russia non si può credere, «è una minaccia», complicando il percorso diplomatico azionato dagli Usa che vedeva l'Ue spettatrice. Ad aprile se l'è presa col tycoon: Ue cauta sulle risposte ai dazi? Lui si mise in mezzo. Stop agli investimenti francesi in America. Disse alle aziende di congelare tutto. Appello caduto nel vuoto, e marchi spaesati da un'Ue tornata poi a dialogare con Washington, non grazie a lui.
Nel primo mandato, ai media d'Oltralpe piaceva la sua rottura: né di destra né di sinistra. Nel secondo valzer Macron è stato però sempre meno risolutivo, quasi nocivo su dossier che richiedevano più collegialità. Troppi cambi repentini e «zeru tituli». Eppure resiste a chi lo vedrebbe bene come umarell del nuovo corso politico europeo. Salta di tavolo in tavolo, di vertice in vertice, di treno in aereo, senza più quel tocco magico degli inizi. Umiliato da Ursula che aveva provato a disarcionare, soffre l'esser padrone di una Francia atomica in crisi economica e politica che non riesce a dare il tempo all'orchestra Ue. In settimane delicate per la formazione della nuova governance, prenotò a giugno una casella chiave nell'Ursula bis provando a bruciare gli altri sul tempo. Disse: il nostro uomo è Breton. Von der Leyen scelse un altro francese di minor peso. A Palazzo Berlaymont faticano ad assecondare il suo iperattivismo. E il perimetro delle idee premia le destre: dalla stretta sull'immigrazione al crollo del green deal. Interferenze fallite come i veti dei suoi liberali di Renew sull'Ursula bis, che il 10 luglio scrissero su X: «Siamo chiari: deve rinunciare agli accordi con l'estrema destra, inclusa Ecr». Mood analogo sin dalla vittoria di Meloni: l'allora premier macroniana Borne allertò l'Europa, quasi disconoscendo il successo di un'altra donna, scelta e non nominata, spiegando che la Francia sarebbe stata «attenta» al «rispetto» dei diritti in Italia. Poi l'intervista a Repubblica della ministra Boone, scomparsa dai radar: «Saremo attenti al rispetto dello Stato di diritto». La «vigilanza» è stata sostituita dal disfattismo per gli hub albanesi, ma senza più le critiche pregresse. Con la stessa velocità con cui si erodeva il consenso casalingo, Macron, senza risultati, ha iniziato a subire pure la stampa. Étienne Gernelle, direttore di Le Point, già sette mesi fa spiegava che è diventato «il maestro degli orologi guasti». Da ultimo, ire incassate dall'Africa, dopo l'addio bleu blanc rouge alle basi.
Per Macron, negoziato. «Errato, la Francia non ha né capacità né legittimità, al contrario ha spesso contribuito a destabilizzare», ha detto il premier senegalese Sonko. Irritazione anche dal governo del Ciad, per il Macron «africano».
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