
Il Wall Street Journal l'ha definita la «Guerra delle due Rose». Ma più che al conflitto civile che insanguinò l'Inghilterra nella seconda metà del '400, la faida tra Donald Trump e Elon Musk sembra rimandare alla Guerra dei Roses, la commedia di qualche anno fa, in cui Michael Douglas e Kathleen Turner mettevano in scena un violentissimo divorzio che li porterà alla distruzione reciproca. L'uomo più potente del mondo e quello più ricco hanno già fatto uscire i loro missili nucleari dai silos e sono già in modalità «Defcon 1». Se e quando avverranno i lanci veri e propri è quello che i media e l'opinione pubblica americani si stanno domandando in queste ore.
Tanti sono i modi in cui i due ex amici possono infliggersi reciprocamente ferite profonde, in alcuni casi mortali. Il boss di Tesla e SpaceX, che ha rivendicato il suo ruolo decisivo per l'elezione di Trump, immettendo nella campagna del tycoon oltre 250 milioni di dollari e schierando al suo fianco la sua piattaforma X, ha nella propria ricchezza un'arma fondamentale. I suoi miliardi potrebbero ora essere impiegati per finanziare le campagne contro i candidati repubblicani o sostenere quelle dei dissidenti che si sono opposti al «big beautiful bill» di Trump. Fondamentale sarà anche l'uso che Musk deciderà di fare di X. Giovedì, il miliardario ha fatto ricorso al social network per proporre ai suoi 220 milioni di follower un referendum sulla necessità di fondare un terzo partito: l'80% dei due milioni di utenti che hanno finora partecipato hanno risposto «sì». E un analogo «sì» è stato postato da Musk in risposta a un utente che chiedeva l'impeachment del presidente. Un capitolo a parte sono le informazioni che Musk potrebbe avere raccolto in questi mesi di frequentazione dello Studio Ovale e infiltrando in ogni angolo (e banca dati) del governo federale il suo Doge. Un primo assaggio c'è stato giovedì, quando il miliardario ha sparato la «bomba»: il nome di Trump, ha scritto, sarebbe presente nei file sul finanziere pedofilo Jeffrey Epstein e il suo giro di vip e ragazze minorenni. Un'accusa sulla quale i democratici hanno subito chiesto di fare chiarezza.
Un altro punto di forza di Musk è la dipendenza di Nasa e Pentagono dalla sua SpaceX. Il miliardario ha subito annunciato di non volere più mettere più a disposizione la navetta Dragon per fare la spola con la Stazione spaziale internazionale. Poi, sembra avere fatto marcia indietro, dopo che Steve Bannon, l'ideologo Maga nemico di Musk, ha replicato proponendo a Trump la nazionalizzazione immediata di SpaceX.
Da parte sua, Trump ha già fatto capire quale sarebbe la sua «arma definitiva»: la revoca di tutti i contratti governativi con le aziende di Musk. Sarebbe «il modo più semplice per risparmiare denaro nel nostro bilancio», ha scritto in un post su Truth. Sempre Bannon ha suggerito a Trump di indagare sullo status legale di Musk, nato in Sudafrica e naturalizzato cittadino Usa. Allo stesso modo, sulla scia della recente inchiesta del New York Times, Bannon ha chiesto di indagare sull'uso di droghe da parte di Musk e sui tentativi dei mesi scorsi di raccogliere informazioni riservate sui piani militari Usa per la Cina. Altra arma in mano a Trump è la revoca del security clearance, il nulla osta di sicurezza di cui Musk dispone per i rapporti tra SpaceX e Nasa.
E se i retroscena delle ultime ore sembrano suggerire una volontà, almeno da parte della Casa Bianca, di non alimentare un'escalation, è molto probabile che i consiglieri di Trump stiano mettendo a punto, come piano B, le bozze di ordini esecutivi per colpire Musk, sfruttando tutta la potenza di fuoco dell'autorità presidenziale.