Non è chiaro se tutti i partecipanti lo abbiano capito. Ma la messa in scena di ieri a Narni, con i vari leader di partito della maggioranza (Nicola Zingaretti, Gigino Di Maio e persino Roberto Speranza) e annesso premier Conte a far corona al candidato umbro del centrosinistra, aveva un solo obiettivo.
Non tanto quello di vincere le elezioni in una piccola ex regione rossa che già da tempo è passata al centrodestra (che governa tutte le principali città): questo lo può pensare solo l'ineffabile Rocco Casalino, che ieri - oltre a intrufolarsi nelle foto dei leader - andava in giro a spiegare ai giornalisti che «siamo certi di vincere, grazie a Conte e al suo tocco magico». L'obiettivo vero della kermesse nel teatro di Narni, promossa in fretta e furia dal capo del partito grillino era in realtà quello di salvare la faccia (per non dire altro) al medesimo Gigino Di Maio, attirando nel gorgo della possibile sconfitta anche gli alleati e l'odiato Giuseppe Conte, in modo da non essere l'unico a pagarne il fio quando il suo partito, già diviso da una logorante guerra per bande, gliene chiederà conto. «Da soli avremmo straperso, ora l'importante è non perdere male», confida un parlamentare locale dei Cinque Stelle.
Non a caso Matteo Renzi si è ben guardato dal venire a dargli una mano. Ed è di lui, ingombrante alleato e detestato antagonista interno, che Di Maio e Zingaretti parlottano sottovoce e con stizza mentre, seduti in prima fila, attendono l'arrivo di Conte, detto Tocco Magico. Ad attaccarlo pubblicamente è il vice di Zingaretti nel Pd, Andrea Orlando: «In Umbria o vince il candidato civico o vince la destra. Per questo il Pd va e sostiene il candidato civico. Si chiama coerenza. Credo sarebbe giusto lo facessero tutti quelli che vogliono fermare la destra». A difendere Renzi è invece Giuseppe Conte, che sa che dai voti di Italia viva al Senato dipende la sua poltrona: «Ci saranno tante altre occasioni per coinvolgerlo».
I big della maggioranza, per la prima volta tutti insieme sullo stesso palco, si susseguono al microfono nell'auditorium San Domenico del piccolo comune umbro. Di Maio parla di olio d'oliva da «imbottigliare come champagne» e portare nella sua amata Cina. Uno dei suoi cerca di giustificare la scarsa performance del ministro degli Esteri: «È tanto stanco», di cosa non è chiaro. Quanto all'alleanza con il Pd, dice Di Maio, l'Umbria «è sicuramente un laboratorio, perché per la prima volta sperimentiamo questo patto civico. E i cittadini diranno cosa ne pensano». Frase a doppio taglio, perché se il «patto civico» perdesse potrebbe essere dichiarata fallita.
Zingaretti cerca di giustificare l'anomala coalizione: «Quando ci dicono che ci sono tante differenze, ammetto che è vero. Ma stiamo insieme perché amiamo l'Italia, amiamo questo Paese». Poi elogia il candidato «civico» Bianconi, racconta di averlo conosciuto solo dopo e elogia la sua «bellissima storia» di imprenditore nelle zone devastate dal sisma. «Siamo qui per proteggere questa bellissima terra e fermare la destra - aggiunge - perché le battaglie giuste si combattono, sempre». Anche quando, sembra il sottotesto, è quasi impossibile vincerle.
Quando tocca a Conte, il povero premier passa metà del tempo a spiegare che il suo esecutivo non c'entra nulla con le elezioni di domani: «Non
sto facendo campagna elettorale. Qui in Umbria non si voterà per il governo, ma è in atto un esperimento interessante», asserisce. Neppure lui, insomma, sembra molto convinto del «tocco magico» che gli attribuisce Casalino.
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