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Macron già dimezzato subito costretto a trattare con la Le Pen

Il cartello di sinistra si sfalda e l'Eliseo guarda alla destra. Che mette i suoi paletti

Macron già dimezzato subito costretto a trattare con la Le Pen

Dopo il tilt della coalizione del presidente francese, che domenica ha ottenuto solo 245 deputati mancando la maggioranza assoluta in Assemblea nazionale di ben 44 seggi ad appena due mesi dalla riconferma di Macron all'Eliseo, a Parigi guardano sia alla tradizione tedesca, sia alla tendenza italiana, per imparare in fretta l'arte del compromesso; fino a ipotizzare patti col diavolo, e cioè con i lepenisti, che in Parlamento già rivendicano la presidenza della commissione Finanze, e in via informale hanno avuto primi contatti con la «Macronia». Il governo dovrà infatti prendere in considerazione alcune idee delle opposizioni, a partire da quelle sul recupero del potere d'acquisto lanciate proprio dai lepenisti in campagna elettorale.

I dati definitivi parlano chiaro. È il Rassemblement national di Marine Le Pen il primo partito di opposizione con 89 deputati; mentre è già imploso il maxi cartello elettorale che ha unito l'estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon, socialisti, verdi, radicali e comunisti. La portata del loro risultato si è ridotta a 131 seggi. E l'idea di stare insieme in un unico gruppo «Nupes» è stata bocciata ieri a tempo di record dagli stessi alleati del tribuno della gauche che l'aveva suggerita.

Una gauche non più unita è secondaria, Le Pen diventa centrale. Tanto nelle proposte, quanto nel far opposizione. Con lei bisogna parlare. Le legislative d'Oltralpe danno quindi alla Francia l'occasione d'imparare un nuovo modo di fare politica, preparando il terreno per intese inedite, caso per caso, su singoli provvedimenti. Niente alleanze sotterranee, né accordi. Ma lavorio per rimettere al centro della V Repubblica l'attività parlamentare rispetto agli input dell'Eliseo.

L'impasse sembra tutt'altro che superata. Il consiglio dei ministri di oggi è stato annullato da Macron. E il 5 luglio è atteso il discorso della premier Elisabeth Borne in Assemblée. Certo, le richieste di dimissioni sono diminuite: Macron non sembra intenzionato a sacrificarla, e ieri ha pranzato con lei all'Eliseo, con l'ex premier e alleato Edouard Philippe e il centrista François Bayrou. Ma dal Palazzo c'è silenzio radio dopo la sbandata elettorale al primo tornante del secondo mandato.

Nicolas Sarkozy, ormai reietto nel suo stesso partito, lavora dietro le quinte per un accordo tra Ensamble e Républicains. I neogollisti dicono però «né patti né coalizione» con la pattuglia macroniana. E il patron Christian Jacob concede al massimo la possibilità di far proposte promettendo un'opposizione «costruttiva».

I centristi MoDem non sono più così decisivi. L'unica forza che sembra avere le idee chiare è l'ex Front National, a cui l'aritmetica (e la coerenza politica) hanno regalato quella centralità che il maggioritario a doppio turno gli aveva finora negato. Passa da 8 deputati a 89; incassa risorse utili a scrollarsi l'etichetta di partito permeabile a influenze straniere, visti i prestiti contratti con banche russe, che ora potrebbero essere ripagati. E Le Pen annuncia di non voler riprendere la presidenza del partito per guidare la nuova «fase francese» dall'Assemblée.

«Macron non farà quello che vuole», tuona BleuMarine, piazzando i primi caveat sulla riforma delle pensioni: «No ai 65 anni». Il presidente della Repubblica prende tempo per il rimpasto (tre ministri lasceranno l'esecutivo perché non eletti). In mancanza di contratti di coalizione, a cui la Francia non è incline, a Macron non resta che incrociare le dita anziché le spade. E invitare i suoi a negoziare con tutti.

A partire da chi, tradizionalmente dall'opposizione, dovrà supervisionare l'elaborazione della finanziaria, indirizzando le risorse del budget dalla Commissione Finanze.

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