Cronache

Una madre già condannata dal desiderio di vendetta

Quanta voglia di chiudere il caso a dispetto dei dubbi: ancora una volta si usano solo indizi a sfavore. Ma dove sono le prove?

Una madre già condannata dal desiderio di vendetta

Veronica Panarello è diventata suo malgrado famosa. Dicono che abbia ucciso il proprio figlio maggiore, Loris, nel modo tristemente noto: una fettuccina attorno al collo, polsi legati, in puro stile mafioso. La giovane mamma ha fatto di tutto per tirare su di sé i sospetti, fornendo a chi la interrogava un racconto dei fatti abborracciato, zeppo di imprecisioni nonché di contraddizioni, la cui analisi ha trascinato gli investigatori a concludere che la donna è bugiarda e che si è servita maldestramente delle menzogne per salvarsi dall'accusa di avere commesso il crimine.

Leggendo le cronache, generalmente improntate alla tesi colpevolista, si avverte il desiderio collettivo di linciare la presunta assassina, prima ancora dei risultati dell'autopsia e di aver terminato gli accertamenti. Non è la prima volta che ciò accade. In presenza di un delittaccio di cui si occupano i media, specialmente la tivù, si scatena una sorta di ribellione sociale che sfocia in ansia di vendetta verso la persona indagata: chiudere il caso subito e punire esemplarmente l'indiziato del reato.

La prudenza non è la miglior virtù del popolo. Bisogna tenerne conto. Però in questa circostanza si è un po' esagerato. A qualche ora dal ritrovamento del cadaverino, la piazza aveva già identificato l'autrice dell'omicidio in Veronica. Non importa che non ci fossero prove. Sarebbero sufficienti gli indizi e le deposizioni confuse della signora a inchiodarla. E per suffragare l'idea che sia stata lei a eliminare il figlio, inquirenti e giornalisti hanno scandagliato la sua breve vita, scoprendo una discarica di pessimi episodi, ma che non hanno nulla a che fare con la fine di Loris: tentativi di suicidio quando lei aveva 7 e 14 anni, liti in famiglia, incomprensioni, attribuzione di tradimenti dubbi al padre nei confronti della moglie. Insomma, un quadro desolante dell'infanzia e dell'adolescenza di Veronica, la cui figura, tracciata in questa maniera, si adatta al ruolo della sbandata capace di essere violenta e addirittura di sopprimere la propria creatura.

La lettura della ricostruzione fatta dalla stampa non lascia margini a ipotesi di innocenza, anche perché sono stati trascurati o liquidati in due righe dettagli a favore della donna. Alcuni esempi. Fondamentale nelle indagini è stata la visione dei nastri registrati dalle telecamere, in cui si distinguerebbe l'automobile nera che sfreccia verso il mulino, «tomba» di Loris; la stessa auto compare in un altro momento, davanti all'abitazione della Panarello e si noterebbe la sagoma di una persona che scende dalla vettura e si allontana. Forse, si è detto, si tratta del bambino che, invece di essere condotto a scuola, fa marcia indietro e rientra a domicilio. In realtà le immagini sono nebulose e non permettono di riconoscere il bambino. Certamente le telecamere di sorveglianza sono molto utili, ma il loro responso non va preso come oro colato, proprio perché riprendono situazioni in movimento, confuse. C'è di più. Secondo l'accusa, la mamma avrebbe ammazzato il figlio nel proprio alloggio, legandogli prima i polsi e poi strangolandolo con una fascetta di norma in dotazione agli elettricisti. Può darsi. Ma vi sembra regolare che il bambino si sia lasciato sopprimere senza reagire, senza urlare e farsi udire dai vicini? Occorre inoltre chiedersi come abbia fatto, eventualmente, Veronica a portare il bambino (di 8 anni, quindi grandicello) dall'appartamento alla macchina evitando di suscitare l'attenzione di qualcuno, e a trasportarlo agonizzante al citato mulino, gettandolo nel canale, inosservata e per nulla timorosa di essere scorta.

Sono aspetti da approfondire, da valutare. Altra perplessità: quale sarebbe il movente? Inesistente. Da rimarcare che il marito della signora e altri familiari hanno ribadito con insistenza che costei era una madre premurosa, inappuntabile. È ammissibile che covasse, dissimulandolo, un odio tanto feroce per Loris? Motivo? È stata avanzata l'ipotesi che l'assassina abbia agito d'impeto, annebbiata da una follia transitoria, forse perché la vittima era capricciosa. Non sta in piedi.

Le modalità del delitto, stando alla Procura, certificano piuttosto la premeditazione: non si è recata col bambino a scuola, ma lo ha trattenuto in casa e qui lo avrebbe stroncato con metodo «scientifico», organizzando successivamente l'occultamento del cadavere, dopo aver «depositato» il figlio minore alla ludoteca. Non solo. Veronica per nulla scossa, in attesa dell'ora di pranzo avrebbe frequentato un corso di cucina. Tutto ciò contrasta con la logica o delinea una personalità degna di Jack lo Squartatore. Un ulteriore particolare induce a riflettere: quando mai un omicida consegna l'arma del delitto? Veronica l'ha fatto mettendo nelle mani delle maestre di Loris fascette uguali a quella adoperata per sopprimere il bambino. Chi glielo ha fatto fare sapendo che una di esse è servita a uccidere il figlio? Le incongruenze sono troppe per non essere vagliate attentamente.

Non intendo affermare che Panarello sia innocente. Ma è difficile dare per buona la versione della vulgata, che coincide con quella degli inquirenti. La fretta, come sempre, non è buona consigliera. Condannare una donna in anticipo rispetto al completamento degli atti istruttori è una pratica che collide con il diritto, una operazione che rivela istinti primitivi.

Il rischio è che si elimini la mamma dopo la morte del figlio, cosicché le vittime sarebbero due.

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