
"Mia suocera ha ucciso il figlio". Poi: "No Lorena, no!" con il pianto di un neonato in sottofondo. La voce è quella di Mailyn Castro Monsalvo, al telefono con il 112. Sono le 10,37 del 31 luglio quando la colombiana denuncia l'omicidio del compagno, Alessandro Venier, 35 anni, da parte della madre. La suocera cerca di fermarla, le strappa il telefono dalle mani tanto da lasciarle lividi sulle braccia. È stata Lorena ad avvelenarlo e a farlo a pezzi dopo che la compagna l'aveva finito strangolandolo con i lacci degli scarponi. Ma ora Mailyn ha paura. Teme che Lorena possa uccidere anche lei. "Pensavo che con il tempo si sarebbe consumato" verbalizza la Venier davanti al gip. L'idea è quella di aspettare che il corpo si deteriorasse per l'effetto della calce viva, poi l'avrebbero portato in montagna.
"L'avremmo lasciato nei luoghi che lui amava" spiega nell'interrogatorio di convalida. La confessione di Lorena Venier, 61 anni, non lascia spazio a niente. Lucida e dettagliata in tutti i passaggi. Il delitto perfetto per movente, organizzazione, modalità. Se non fosse stato per Mailyn, madre di una bimba di sei mesi avuta dalla vittima, probabilmente l'avrebbero fatta franca. Alessandro, del resto, con una condanna definitiva per lesioni gravi e violenza, stava per entrare in carcere. E a tutti gli amici aveva annunciato la sua partenza, anzi la fuga, per la Colombia fissata al 26 luglio, giorno successivo alla mattanza. Una latitanza con Mailyn e la bambina per sfuggire alla giustizia. Venier avrebbe vissuto di espedienti, come ha fatto per tutta la sua vita, continuando a picchiare Mailyn. Conosciuto sul web dei video di violenza contro gli animali, coltivatore di marijuana, Venier viene licenziato per aver pestato un collega. E da tempo era nullafacente. Violento e arrogante in casa soprattutto con la compagna dopo la nascita della figlia. Mailyn e Lorena capiscono che non c'è altro modo per fermarlo che ucciderlo. La prima è l'istigatrice, l'altra il boia. Prima lo stordisce con un potente, ma non troppo, narcotico sciolto in una limonata. Alessandro ha un fisico robusto e dopo qualche minuto inizia a risvegliarsi. Lorena è più veloce e gli inietta una dose massiccia di insulina per provocargli un choc. Rantola ma non muore il 35enne. A quel punto interviene la nuora che prova a soffocarlo a mani nude. Alessandro respira ancora quando viene strangolato, e ucciso, con due stringhe. È finita. Bisogna solo ridurre il cadavere. Ci pensa sempre Lorena, esperta infermiera, a sezionarlo in tre parti usando un'accetta e un seghetto. Per non lasciare schizzi di sangue a terra e sulle pareti lo avvolge in un lenzuolo. Mailyn l'aiuta a portarlo nel magazzino accanto alla villetta dove c'è un fusto che sembra fatto apposta per nascondere i resti. La calce è pronta da giorni, acquistata su Amazon. Bisogna solo aspettare. "Mailyn ha avuto una crisi - racconta ancora la Venier - e ha chiamato il 112".
La colombiana chiude la conversazione, forse è Lorena a farlo, strappandole il cellulare dalle mani. Ma la chiamata oramai è geolocalizzata e deviata alla compagnia di Tolmezzo. Quando arrivano i carabinieri Lorena minimizza. "Mia nuora soffre di depressione post partum".