Maduro destituisce Guaidó La guerra civile è a un passo

Il leader dell'opposizione non è più presidente del Parlamento e rischia l'arresto: «Ineleggibile per 15 anni»

Maduro destituisce Guaidó La guerra civile è a un passo

San Paolo Inabilitato politicamente sino al 2034. Questa la misura presa dalla Corte dei Conti del regime contro il presidente ad interim Juan Guaidó mentre organizzava ieri l'ennesima marcia prevista il prossimo 6 aprile per iniziare l'«Operazione Libertà» (obiettivo cessare l'usurpazione del presidente di fatto Nicolás Maduro, transizione democratica e libere elezioni). A decretare l'allontanamento dalla vita pubblica per 15 anni di Guaidó è stato Elvis Amoroso, avvocato nonché ex vicepresidente dell'Assemblea Costituente, il Parlamento creato sul modello cubano ed eletto illegalmente a fine luglio 2017. Per Amoroso, Guaidó avrebbe fatto 91 viaggi all'estero non compatibili con i redditi dichiarati al fisco e, perciò, oltre ad allontanarlo dalla vita politica sino al 2034, ha anche chiesto alla giustizia controllata da Maduro l'apertura di un'inchiesta, per verificare chi paghi le spese di viaggio del presidente ad interim.

Il provvedimento di ieri è solo l'ultimo di una lunga serie con cui il regime vuole testare la reale capacità di reazione della comunità internazionale molto reattiva invece nei proclami e nelle minacce verbali e diplomatiche. Che si susseguono dal 23 gennaio scorso, quando lo stesso Guaidó giurò a sorpresa nel quartiere capitolino de Las Mercedes, proclamandosi presidente sulla base della Costituzione chavista del 1999. In realtà, da quando è fallito il tentativo di fare entrare da Colombia e Brasile 500 tonnellate di aiuti umanitari farmaci ed alimenti per alleviare le sofferenze di una popolazione allo stremo (era il 23 febbraio) è un dato di fatto che la posizione di Guaidó si è progressivamente indebolita, tanto sul fronte interno come su quello internazionale. Gli oltre 50 Paesi che lo avevano riconosciuto a fine gennaio infatti l'ultimo in ordine cronologico è stato il Giappone da allora non sono più aumentati neanche di un'unità mentre in Venezuela da due settimane il regime usa i blackout frutto del disastro gestionale chavista della rete elettrica nell'ultimo ventennio con quattro obiettivi chiari. In primis accusare gli Stati Unità di avere «spento la luce», poi demoralizzare la popolazione impedendogli di uscire in strada a manifestare perché, senza elettricità per 20 ore al giorno, i problemi della gente sono ben altri rispetto ad appoggiare un presidente che, agli occhi di molti di loro, aveva garantito che quel giorno gli aiuti umanitari sarebbero finalmente arrivati. Il terzo scopo con i blackout di regime è sconnettere Internet e i social media, strumento indispensabile a molti per informarsi, vista la censura opprimente della dittatura. Infine il regime sfrutta i blackout per provocare e dividere l'opposizione che, proprio grazie a Guaidó - una figura sconosciuta sino al 5 gennaio scorso quando per un complicato meccanismo di rotazione, è diventato presidente del Parlamento era riuscita a ricompattarsi dopo anni di divisioni e faide interne.

Inizia lì, con il fallimento degli aiuti umanitari del 23 febbraio scorso preceduto da un mega concerto, lo stallo di Guaidó, almeno agli occhi di molti di quei 10 milioni che erano scesi in piazza nei mesi scorsi a sostenerlo. E così, dopo avere arrestato nei giorni scorsi il suo braccio destro Roberto Marrero con un'operazione notturna criminale del Sebin, l'intelligence della dittatura, adesso arriva la sua inabilitazione politica.

Illegale, come denunciato dallo stesso Guaidó, ma un'inabilitazione «di fatto», come continua a essere presidente di fatto Maduro. Il timore adesso è che il prossimo passo sia l'arresto del presidente, quello democratico.

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