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Maggioranza compatta: sì alla fiducia con 115 voti. "Liberi dalla tecnocrazia"

Rispettate le previsioni. Forza Italia punta su un fisco più equo e sulla riforma della giustizia. La Lega invoca l'autonomia differenziata

Maggioranza compatta: sì alla fiducia con 115 voti. "Liberi dalla tecnocrazia"

Il governo Meloni porta a casa la fiducia bis al Senato. L'Aula di Palazzo Madama dice sì con 115 voti. Gli astenuti sono 5 mentre i voti contrari sono 79. Numeri rispettati: la maggioranza di centrodestra partiva da 116 (il presidente del Senato Ignazio La Russa non vota). Il momento clou della maratona in Aula scatta però poco dopo le 19. Quando prende la parola, per la dichiarazione di voto, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi: intervento che si chiude con premier e ministri in piedi ad applaudire. Una vera e propria standing ovation accompagna la fine del discorso. In quell'istante le telecamere catturano il labiale di apprezzamento del presidente del Consiglio Meloni. Poi dopo, quando inizia la chiama per il voto di fiducia, il premier lascia i banchi del governo per andare da Berlusconi. Nel suo intervento il cavaliere ruba subito la scena: «Sono felice perché tre ore fa è nato il mio 17esimo nipote».

L'ex capo del governo rivendica la fedeltà dei suoi governi e di Fi ai valori dell'Occidente: «Non abbiamo mai compiuto una scelta di politica internazionale, che non fosse dalla parte dell'Occidente e della libertà». E ribadisce: «Noi dobbiamo lavorare per la pace e lo faremo in pieno accordo con i nostri alleati Occidentali e nel rispetto della volontà del popolo ucraino. Su questo la nostra posizione è ferma e convinta, è assolutamente chiara e non può essere messa in dubbio da nessuno, per nessun motivo». Ricordando il successo del trattato di Pratica di Mare tra Bush e Putin. Giustizia e fisco le due priorità per FI: «Certamente una delle priorità da approvare nel più breve tempo possibile è la riforma della tassazione, per un fisco più equo e più leggero, pur nella necessità di non disattendere i vincoli di bilancio che l'Europa e i mercati ci impongono. Anche la riforma della giustizia è una priorità irrinunciabile, per una questione non solo di durata ragionevole dei processi ma soprattutto per una questione di civiltà e di libertà. Una riforma davvero garantista, non contro la magistratura ma per il diritto, per l'equità, per la libertà».

Nella lunga giornata di Palazzo Madama il presidente del Consiglio prende la parola poco prima delle 18 per le repliche dopo la discussione generale. Il discorso era stato già consegnato ieri. Si passa subito alle dichiarazioni di voto. Per i centristi parla Antonio De Poli insistendo sul profilo europeista dell'esecutivo. Matteo Renzi ribadisce il no alla fiducia e mette agli atti la disponibilità del Terzo Polo a sedersi al tavolo delle riforme: «Se la maggioranza vorrà sfidarci sull'elezione diretta del presidente del consiglio, quello che noi abbiamo chiamato il sindaco di Italia, noi ci saremo. Il punto fondamentale è che se c'è un'apertura sulle riforme costituzionali un no a prescindere è sbagliato». Dai banchi dell'opposizione Simona Malpezzi, capogruppo Pd, attacca sul Pnrr: «Se fosse stato per voi non sarebbe stato approvato».

Dal fronte Lega il capogruppo Massimiliano Romeo tiene a precisare: «Auguri a lei presidente e alla squadra di governo di centro destra. Non di destra, di centrodestra, ci teniamo a sottolinearlo». Il capogruppo della Lega pone l'autonomia differenziata tra i punti centrali dell'agenda di governo: «Ricucire il nord al sud, un divario figlio di un sistema centralista, non dell'autonomia mai attualizzata, la strada vera allora è l'autonomia e il federalismo».

Chiude, per Fratelli d'Italia, Isabella Rauti: «Con Meloni l'Italia si libera della tecnocrazia e torna a un governo politico».

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