Chi comanderà nella nuova Europa disegnata dal voto? Certamente non i sovranisti, verrebbe da rispondere di primo acchito: tante ambizioni e tanti proclami per conquistare di fatto una ventina di seggi su 751, gli stessi che si sono assicurati senza tanta pubblicità i verdi grazie agli exploit fatti registrare in Germania, Francia e Inghilterra. Ma qui non dobbiamo occuparci di chi continuerà a scaldare i banchi dell'opposizione a Bruxelles e a Strasburgo, bensì di coloro che in quei consessi saranno i nuovi detentori del potere. Nuovi perché gli elettori dei 28 Paesi dell'Ue hanno tolto la maggioranza assoluta al binomio composto da popolari e socialisti, che da decenni facevano il bello e il cattivo tempo grazie a un consenso che è stato appunto ridimensionato. E dunque oggi la maggioranza che non c'è più deve essere integrata con l'apporto determinante di nuovi gruppi centristi ed europeisti. Che numeri alla mano possono essere solo due: quello dei liberaldemocratici (in sigla europea, Alde) e quello dei già citati verdi.
L'ingresso di entrambi questi gruppi politici nella «maggioranza di governo» europea porterebbe alla nascita di un esecutivo sostanzialmente di centrosinistra. Ma i numeri attuali (180 popolari più 145 socialisti più 109 liberali) consentirebbero anche di lasciar fuori gli ecologisti dalla stanza dei bottoni, permettendo tranquillamente, invece, la formazione di un tripartito. Tripartito, è importante ricordarlo, che nella Commissione guidata da Jean-Claude Juncker esisteva di fatto già: perché è vero che popolari e socialisti avevano la maggioranza da soli, ma è anche vero che i liberali di Alde avevano per «scelta europeista» di Juncker cinque commissari (i ministri Ue) su 28: la più nota e potente di loro è la svedese Cecilia Malmstroem, titolare del dicastero del Commercio.
In questa coalizione non del tutto inedita quindi, il membro numericamente più debole potrebbe paradossalmente trovarsi in una posizione di forza. Sia perché senza quei cento e passa voti la futura Commissione non starebbe in piedi, sia perché azionista di maggioranza del gruppo Alde è diventato nel frattempo entrando a farne parte in forze con il suo partito En Marche (Lrem) - il presidente francese Emmanuel Macron: ed è evidente che, in una nuova maggioranza con i liberali determinanti, il peso di Parigi risulterebbe accresciuto. Stiamo parlando di un gruppo eterogeneo che al di là dell'enunciazione di un generico centrismo europeista non porta avanti un programma troppo preciso, il che concede a Macron ampi margini di manovra, che sta già esercitando: nella notte una chiamata con la Merkel, ieri sera una cena con Sánchez, oggi un vertice con i leader di visegrad. Va anche ricordato che i liberali hanno molte ambizioni di potere: sperano di far saltare il decantato sistema degli Spitzenkandidaten, che avrebbe dovuto mettere in competizione per la poltrona di presidente della Commissione solo il popolare tedesco Manfred Weber (sgradito a Macron) e il socialista olandese Frans Timmermans, e sognano che a succedere a Juncker sia la loro candidata, l'ambiziosa danese Margrethe Verstager.
Oggi è fissata una prima riunione del Consiglio europeo, l'istituzione che riunisce i capi di Stato e di governo dei 28, prossimi peraltro a scendere a 27e visto che Londra è in uscita. Si comincerà a discutere degli equilibri di potere non sulla base delle forze politiche rappresentate nell'Europarlamento, ma su quella dei Paesi che compongono l'Ue. Si tratta di equilibri complessi, e non è un caso se per la formazione della Commissione sono concessi ben sei mesi.
Premesso che non è facile immaginare il prodotto di negoziati contemporanei tra tre-quattro forze politiche e i governi di 27-28 Paesi, va comunque ricordato che cambiare davvero le cose in Europa significa cambiare i Trattati. E questo non è competenza della Commissione.
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