Magistrati rossi: l'ora della disfatta. E il centrodestra incassa l'appoggio pure dei centristi

La sinistra giudiziaria ha capito di aver perso sin dal mattino, quando nell'aula intitolata a Vittorio Bachelet passa con un voto contrario la delibera della Commissione verifica titoli che ha escluso la ineleggibilità di Roberto Romboli

Magistrati rossi: l'ora della disfatta. E il centrodestra incassa l'appoggio pure dei centristi

La sinistra giudiziaria ha capito di aver perso sin dal mattino, quando nell'aula intitolata a Vittorio Bachelet passa con un voto contrario - non all'unanimità, come speravano - la delibera della Commissione verifica titoli che ha escluso la ineleggibilità di Roberto Romboli, confermato consigliere sebbene docente in pensione e non più ordinario ma emerito «esterno». Il no del consigliere indipendente Andrea Mirenda fa franare il castello di carta costruito da Repubblica al candidato espressione del Pd e delle otto toghe rosse di Area-Md, vanificando così le (poche) speranze di appoggio alla candidatura del costituzionalista pisano alla vicepresidenza. Aprendo altresì le porte al «legista» Fabio Pinelli, arrivato a fari spenti a Palazzo de' Marescialli, la cui vittoria alla terza votazione (17 a 14, una bianca e un astenuto) segna un'accelerazione del centrodestra «allargato» ai centristi di Azione-Italia viva sulla riforma della giustizia che il Guardasigilli Carlo Nordio ha già in mente. «Meno male che non è passato Romboli, che di procedura sapeva pochino», dice al Giornale un magistrato che ha partecipato (da lontano) alle trattative e che ragiona già in ottica Commissione disciplinare: «Anche l'uscente David Ermini era un civilista e si vedeva, Pinelli da penalista sarà cruciale nel presiedere di diritto la Disciplinare, essendo un tecnico del processo la nostra è stata una scelta oculata anche in questo senso».

La vittoria di Pinelli - già legale dei leghisti Luca Zaia, Luca Morisi e Armando Siri - arriva anche grazie al voto di almeno uno dei due capi Corte, come avviene talvolta per senso istituzionale: difficile sia stato il primo presidente di Cassazione Pietro Curzio, che a poche ore dalla pensione terrà la sua ultima relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario («e non farà sconti alle riforme annunciate dal governo», dice uno dei togati), più probabile sia stato il procuratore generale della Cassazione Luigi Salvato o proprio lo stesso Mirenda. Mentre il laico M5s e Unicost, la corrente moderata, assicuravano di aver votato sempre l'allievo preferito di Alessandro Pizzorusso (l'ex Csm di area Pci che impallinò Giovanni Falcone sull'Unità pochi giorni prima di Capaci), i sette togati di Magistratura indipendente, i sette laici del centrodestra e il renziano Ernesto Carbone non hanno tradito le voci della vigilia: l'ipotesi dell'outsider Fdi Daniela Bianchini, civilista vicina al sottosegretario Alfredo Mantovano, non sarebbe mai davvero decollata.

«Quando moriremo ci chiederanno non quanto siamo stati credenti, ma quanto siamo stati credibili nell'interesse del Paese», dice Pinelli, usando le parole del giudice ucciso dalla mafia Rosario Livatino (nella cui Fondazione c'è proprio la Bianchini), quasi a suggellare la coesione della maggioranza allargata a Matteo Renzi. Che con un tweet non solo si intesta la vittoria dell'avvocato padovano - a sua volta legato all'ex presidente della Camera Luciano Violante, con lui nella Fondazione Leonardo e che da tempo accarezza l'idea di andare al Quirinale - ma ne rivendica un'altrettanto solida «paternità», facendo trapelare come Pinelli sia stato in passato l'avvocato sia del presidente della Fondazione Open Alberto Bianchi sia di fatto dell'ex premier, visto che il Senato, nella scorsa legislatura, aveva affidato proprio a Pinelli di fronte alla Consulta la difesa delle tutele di Palazzo Madama nel conflitto di attribuzione sulle chat di Renzi, sequestrate dalla procura di Firenze ma tecnicamente inutilizzabili.

Il Csm di Pinelli sarà il crocevia decisivo della riforma della giustizia, proprio a partire da separazione delle carriere e appunto intercettazioni.

Per la Lega, che ha espresso il nome di Pinelli, è una vittoria ma anche un peso: «Adesso l'attenzione dei giudici sul partito di Matteo Salvini sarà ancora più alta», maligna un togato. Un segnale da non sottovalutare per il Carroccio.

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