Il tempo scorre. E Luigi Di Maio sa bene di averne ancora poco a disposizione per tentare il blitz che gli spiani la strada verso Palazzo Chigi. Il periodo di autonomia che Beppe Grillo ha concesso al capo politico del M5S non è illimitato: dall'interno del Movimento i malumori crescono. Il dissenso si irrobustisce di giorno in giorno, con l'ala ortodossa che spinge per chiedere un commissariamento. Un nuovo direttorio che condivida d'ora in avanti mosse e linea politica, accompagnando la seconda fase delle trattative per il governo.
Dalla nomina dei capigruppo allo schema del doppio forno con Lega e Pd: tutta la strategia voluta e imposta dall'ex vicepresidente della Camera è franata. All'orizzonte c'è la prospettiva di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella decidesse di affidare l'incarico esplorativo al leader dell'ala ortodossa, Roberto Fico, il castello di Di Maio crollerebbe. Aprendo uno scenario nuovo, ma soprattutto sdoganando un'altra leadership politica nel Movimento. Le parole di Giulia Grillo certificano il nervosismo nel cerchio magico del capo politico del M5S: la capogruppo dei grillini a Montecitorio è stata costretta a correggere il tiro dopo aver provato a mettere un veto su un eventuale mandato esplorativo a Fico. Per evitare una spaccatura, Grillo è tentato da una mossa: esercitare quel ruolo di garante del Movimento che il nuovo statuto gli assegna, imponendo a Di Maio il coinvolgimento nelle scelte con un mini-direttorio.
Il leader dei Cinque stelle sente la pressione ma soprattutto avverte che il terreno sotto i piedi comincia a franare. Ieri dal Salone del mobile di Milano, Di Maio ha provato ad allontanare il fantasma di Fico, confinandolo al ruolo di garante del Parlamento: «Lui è il nostro presidente della Camera: guardiamo a lui però come a una figura di garanzia. Deciderà comunque il presidente Mattarella». Per l'ex vicepresidente della Camera non c'è alcuna possibilità che Fico possa esercitare una funzione politica: «È stato scelto per la guida della Camera e non può inserirsi nelle trattative per la formazione dell'esecutivo. Ma il rischio c'è ed è dietro l'angolo. Il messaggio di Di Maio suona come avvertimento per il collega grillino: la funzione politica deve restare saldamente nelle sue mani.
Da Milano, il leader dei pentastellati non si smuove dello schema del doppio forno. Rimettendo in campo la formula del contratto alla tedesca e usando parole di elogio per Matteo Salvini: «Io credo fortemente nel fatto che con la Lega si possa fare un buon lavoro per il Paese. Possiamo fare cose molto importanti». »So bene il momento politico che sta vivendo la Lega, ma ho avuto modo di testare la sua affidabilità quando abbiamo eletto le cariche istituzionali in Parlamento - ha chiarito - e sono sicuro che se firma un contratto di governo tiene fede ai patti». Contratto che, spiega Di Maio, «è ormai pronto: il professor Giacinto Della Cananea ha ultimato il lavoro istruttorio e ha già individuato i punti di contatto fra le forze politiche, ovvero fra noi e Lega e noi e Pd. Di più non posso dire ma a breve renderemo pubblico il contenuto». Lega o Pd: per Di Maio cambia poco.
E anche ieri, il leader del M5S ha provato a riaprire la porta ai dem. Scenario che il partito di Matteo Renzi continua ad escludere. Una posizione che però potrebbe cambiare con il passo indietro di Di Maio e con un governo Fico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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