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Di Maio dimentica di essere il capo della diplomazia e prova a sfruttare il dossier Usa

Il ministro contro la Lega: voleva autorizzare i fondi da Stati stranieri. Ma il M5s, il suo ex partito, ebbe rapporti con Chavez e Putin

Di Maio dimentica di essere il capo della diplomazia e prova a sfruttare il dossier Usa

Guidare la Farnesina con la massima prudenza. Soprattutto a dieci giorni dal voto per le elezioni politiche. A maggior ragione, se ci si trova in un contesto internazionale quanto mai delicato, percorso da tensioni con pochi precedenti tra gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. Ma siamo in campagna elettorale e Luigi Di Maio preferisce ignorare l'avvertimento di cui sopra. Il leader di Impegno civico, ministro degli Esteri in carica, sceglie le mosse spericolate. Come quella messa in scena mercoledì in una trattoria di Napoli. In volo sorretto a braccia dallo staff del ristorante partenopeo. Solo che il tema delle presunte interferenze russe nella politica italiana non è un gioco. Ed ecco che, nonostante tutti si muovano con i piedi di piombo, Di Maio si lancia all'attacco sui rapporti Usa che parlano di fondi russi destinati a venti partiti politici in tutto il globo.

E l'Italia? Per il momento non ci sono notizie di finanziamenti da parte del Cremlino a forze politiche italiane. Oggi si riunisce il Copasir per un'audizione con Franco Gabrielli, sottosegretario con delega ai servizi segreti. Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare, dagli Usa predica prudenza. Eppure il ministro degli Esteri, più in veste di leader politico che di capo della diplomazia, decide di andare avanti come un treno. Mentre scarseggiano i nomi e i fatti concreti, Di Maio si diletta a insinuare. «Il dossier potrebbe non essere uno. Il presidente Urso fa una dichiarazione molto cauta, non esistono affermazioni di assoluta certezza», sparge dubbi il titolare della Farnesina. Il ministro degli Esteri parla genericamente di altri dossier, non specifica se quello «in arrivo» sia il report completo del Tesoro Usa, di cui un riassunto - senza nomi di partiti italiani - è arrivato a Palazzo Chigi e alla Farnesina, oppure di nuovi documenti. Di Maio, intanto, cavalca la tigre. «Sono settimane che dico che c'è un rischio di ingerenze russe nella campagna elettorale italiana. Noi non abbiamo certezza, però è per questo che io chiedo l'istituzione di una commissione d'inchiesta tra partiti italiani e il mondo russo», rilancia su uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale. Peccato che, per anni, proprio il M5s, partito in cui è cresciuto il leader di Ic, sia stato al centro di sospetti di trame con la Russia. Una vicinanza politica confermata dalle visite di Alessandro Di Battista e dell'attuale braccio destro di Di Maio Manlio Di Stefano ai congressi di Russia unita, il partito di Putin.

L'ex capo politico grillino accusa la Lega. «Nel 2018 bloccammo l'emendamento soppressivo che la Lega aveva presentato per eliminare la norma della legge Spazzacorrotti che disponeva il divieto, per un partito politico italiano, di ricevere soldi da governi o da altri enti di Stati stranieri - ricorda il ministro - perché la Lega voleva ricevere soldi da governi o da altri enti di Stati stranieri? Ci sono troppe ombre sui rapporti della Lega con Putin». Proprio durante l'esperienza gialloverde Di Maio firmò con la Cina gli accordi della Via della Seta, patti che destarono non poche preoccupazioni nelle cancellerie occidentali.

Per non parlare dei presunti 3,5 milioni di euro che, secondo uno scoop del giornale spagnolo Abc, il Venezuela di Hugo Chavez avrebbe regalato al M5s nel 2010. Ipotesi su cui è in corso un'inchiesta della Procura di Milano. Ma Di Maio insiste e attacca a testa bassa il centrodestra che «continua a difendere gli interessi di Putin piuttosto che quelli degli italiani».

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