Ora la gara tra vicepremier è a chi ce l'ha più lungo, il tavolo con gli imprenditori. «Io martedì 11 dicembre (oggi, ndr) riunisco 30 sigle, domenica al Viminale ce ne erano poco più di 10», si vanta Luigi Di Maio.
Che ha preso malissimo l'iniziativa di Matteo Salvini di riunire associazioni imprenditoriali al suo ministero, ritagliandosi il ruolo di unico garante, dentro lo scombiccherato governo gialloverde, di quell'Italia produttiva che è diventata il più grande tallone d'Achille per un esecutivo che finora, con i suoi provvedimenti, è riuscito solo a cancellare flessibilità nel mondo del lavoro, aumentando rapidissimamente la disoccupazione; a bloccare ogni cantiere di grandi opere; a millantare una manovra iper-assistenzialista che a metà dicembre ancora deve essere scritta e a precipitare il Paese sull'orlo della recessione. Niente male, in soli sei mesi.
Salvini, più rapido di riflessi del dirimpettaio grillino (non che ci voglia moltissimo) e anche facilitato da un partito in parte più sensibile al tema, mentre dall'altra parte impazzano i luddisti tipo l'anziano Beppe Grillo, è corso ai ripari. Scavalcando il premier Giuseppe Conte come se non esistesse neppure, e assestando un ceffone in piena faccia all'«amico Luigi» con la convocazione di un vertice con le imprese nella sede del tutto anomala del Viminale. Di Maio, comprensibilmente, c'è rimasto malissimo. E, preso da un accesso di gelosia mediterranea, ora tenta di vendicare l'onore ferito: ohibò, non è forse lui il ministro dello Sviluppo Economico nonché del Lavoro? «Ieri al Viminale hanno fatto parole, al Mise facciamo i fatti, sono io che mi occupo di imprese», sibila. Poi fa i conti della serva: io ce ne ho 30, lui 10, pappappero. «Il nostro obiettivo - annuncia - è creare un tavolo permanente che segua il percorso della legge di bilancio». Promessa surreale, visto che - in teoria - la legge di bilancio è già stata approvata con tanto di fiducia dalla Camera. Ma lui assicura che ci saranno «novità», e che saranno «sull'abbassamento dei costi del lavoro, il pagamento dei debiti della PA e la sburocratizzazione». E con gli imprenditori «si avvierà un tavolo con un metodo di lavoro».
Per tutta risposta, Salvini se ne è andato a Milano ad incontrare, nella sede di Assolombarda, gli imprenditori locali: «I fatti al Mise? A me interessa la sostanza, e ognuno fa il suo», taglia corto, spiegando che dai suoi incontri «mi porto via pagine di appunti che, almeno in parte, spero diventino legge». Tira un colpo basso a Gigino e al suo decreto «dignità»: «Noi crediamo che il lavoro non si faccia soltanto per decreto. Anzi il lavoro lo fanno le imprese». E poi annuncia che sarà lui ad offrire «all'amico Luigi e al presidente Conte alcune proposte che secondo me già in questa manovra possono trovare asilo».
A sera Di Maio cerca affannosamente di recuperare terreno: «La categoria più incazzata di Italia sono gli imprenditori che aspettano risposte», ci fa sapere, sorvolando sul fatto che l'oggetto di tanta incazzatura è lui e il suo governo. Poi tenta di teorizzare che tutto va ben tra lui e Salvini: «Ogni giorno vedo titoli e contro titoli che provano a farci litigare, ma non credo ci riusciranno. Oramai è un rapporto politico che ha superato grandi difficoltà. Qualcuno invece spera che questo governo vada a casa».
Anche Salvini fa diffondere una velina secondo cui «non c'è alcuna polemica Di Maio» e che lui ha visto gli imprenditori «come segretario della Lega, in maniera spontanea e assolutamente rispettosa del ruolo di tutti». Lasciando senza risposta la domanda: perché allora convocarli a Viminale e non a Via Bellerio?
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