La maledizione dei transfughi Non vengono più rieletti

Da Alfano a Fini, da D'Alema a Orellana: chi lascia il partito d'origine poi non riesce più a raccogliere voti

Nei film è un classico: il rinnegato tradisce per una banda rivale, che poi lo ricompensa facendolo fuori. La politica è appena meno cruenta, a giudicare da storie e numeri dei transfughi colpiti dalla maledizione dell'irrilevanza. E ora che Matteo Salvini, prima del voto pronto ad aderire al patto anti-transfughi, ha lanciato la sua Opa sui parlamentari di Forza Italia invitandoli a «sentirsi liberi di fare politica con la Lega», torna d'attualità un'antica massima, attribuita da Plutarco a Giulio Cesare: «Amo il tradimento, ma odio il traditore».

Il caso dei 5 Stelle è emblematico. Nella scorsa legislatura, che ha fatto segnare il record con 566 cambi di casacca, 40 parlamentari hanno abbandonato o sono stati espulsi dai gruppi grillini. Trentotto di loro sono rimasti fuori dal nuovo Parlamento. Il nome più noto è forse quello di Luis Alberto Orellana che, a inizio legislatura, fu addirittura candidato dai grillini a presidente del Senato. Sei mesi dopo era già in uscita dal Movimento in cui militava fin dal 2010, dopo essere stato bocciato come capogruppo in Senato in favore di Nicola Morra ed emarginato. Il passaggio ai Radicali e l'appoggio ai governi di Centrosinistra non gli hanno portato bene. Alle ultime regionali il Pd lo ha candidato in Lombardia ma non ce l'ha fatta. Destino simile è toccato a molti altri pentastellati che si erano fatti notare alla prima esperienza nei palazzi del potere romano, da Paola De Pin a Gessica Rostellato.

Il fenomeno è ancora più macroscopico nel centrodestra dove le grandi spaccature degli ultimi anni, hanno portato a voltafaccia clamorosi. Il più famoso, vero simbolo del genere, è quello di Gianfranco Fini con la sua frase di sfida a Silvio Berlusconi, l'alleato che l'aveva sdoganato politicamente aprendogli un'insperata carriera politica e istituzionale. L'uomo del «Che fai mi cacci?», com'è noto è stato cacciato dalla politica che conta e si è cacciato nel pasticciaccio giudiziariamente brutto della casa di Montecarlo. Stesso film per Angelino Alfano che, smarrito il quid berlusconiano, ha perso pure il posto da ministro, che aveva tenuto per un tempo record, e pure quello da parlamentare. Ora è una storia da Chi l'ha visto?. Con lui sono naufragati nell'oblio politico tanti altri transfughi di Forza Italia, a partire da Fabrizio Cicchitto, rimasto fuori dalle camere che frequentava fin dal 1976 dopo aver tentato invano l'impresa riuscita per un soffio a Beatrice Lorenzin, con la sua «Civica popolare». Lungo lo stesso percorso si sono smarriti molti altri, alcuni dei quali con numerose esperienze di governo alle spalle: Guido Viceconte, Gioacchino Alfano e anche Dorina Bianchi, una che ha navigato in otto partiti in sedici anni di attività politica, coprendo l'intero arco costituzionale. Certo, poca roba rispetto a Luigi Compagna che, eletto in Campania per il Popolo delle Libertà nella scorsa legislatura, non ha militato nemmeno un giorno nel suo gruppo e poi ne ha cambiati altri otto. Oggi non è più in Parlamento. Stesso film vissuto da Denis Verdini e la pattuglia di Ala che, dopo aver mollato Berlusconi per sostenere Renzi, è rimasta fuori dal Parlamento.

Non è andata meglio a sinistra, dove la clamorosa scissione che era costata una vera emorragia di parlamentari al Pd, non si è tradotta in voti per Leu.

A rimanere fuori anche il regista della congiura, Massimo D'Alema. Rottamarlo è stato finora il maggior successo di Matteo Renzi. Certo, c'è chi ha tradito e ce l'ha fatta, come Pietro Grasso. Ma la pagherà lo stesso: 83.250 euro, quelli che dovrà restituire al Pd.

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