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Manovra, la maggioranza lavora all'asse con Draghi (e lo allontana dal Colle)

I partiti promettono stabilità. In caso contrario le dimissioni del premier restano un'opzione

Manovra, la maggioranza lavora all'asse col premier (e lo allontana dal Colle)

Mario Draghi si inoltra in una stagione politica piena di insidie. È il tempo della legge di Bilancio che, con un po' di ritardo, arriva in Parlamento. Si comincia al Senato, dove i numeri sono sempre un po' più incerti e il clima non è quello di qualche mese fa. Il capo del governo è ancora l'uomo della provvidenza, ma i partiti stanno sempre più pensando al loro futuro elettorale. È una variabile che ha un certo peso. Ora la manovra economica è stata disegnata per non creare eccessive turbolenze, ma di fatto non è che accontenta proprio tutti. Si può dire che tiene in piedi i feticci dei Cinque Stelle e garantisce lo spirito di conservazione del Pd. È più dura invece con la Lega, visto che non indica una prospettiva di riforma fiscale e sulla previdenza torna sui sentieri della Fornero.

La sintesi brutale è: reddito di cittadinanza sì, Quota 100 no. Il messaggio che passa rende Matteo Salvini piuttosto inquieto. Non è un caso che Enrico Letta chieda un patto di maggioranza per blindare la legge di Bilancio e Salvini invece punti a ridiscuterla prima di votarla. Questo non significa necessariamente che Letta sia più «draghiano» di Salvini. È solo che la manovra non va a toccare questioni delicate del Pd.

Lo stesso Draghi deve però cominciare a mettere le carte sul tavolo. Il suo futuro non è irrilevante. In tanti ormai dicono che il suo addio da Palazzo Chigi sarebbe un danno per l'azione di governo. È lui la garanzia verso l'Europa sul Recovery. È lui che può chiudere il ciclo di riforme. Andrea Orlando, per esempio, fa sapere che il governo sta preparando una nuova legge sul lavoro, con contratti meno flessibili, una lotta alla precarietà e più formazione. È un tema delicato e una maggioranza atipica, nata sull'emergenza, farà fatica ad affrontare. Dove sarà Draghi a primavera? Il sospetto è che lui si veda al Quirinale. È la promessa che in qualche modo gli è stata fatta e forse ritiene di poter garantire l'Italia anche da lì. Draghi ha però anche intuito che il trasloco non è affatto semplice. C'è la resistenza umana di senatori e deputati che temono le elezioni anticipate e nessuno di loro ci tiene a perdere il posto. Le possibilità di essere ricandidati sono per molti di loro scarse o nulle. È un discorso cinico, ma che pesa. Non c'è comunque in giro questo grande entusiasmo per Draghi presidente della Repubblica.

Ecco allora delinearsi un cambio di scenario. Il capo del governo potrebbe assecondare una svolta. Il passaggio diretto da Palazzo Chigi al Quirinale sembra bloccato, ma le cose cambiano se si crea un vuoto. Se sulla legge di bilancio si creasse un clima da assalto alla diligenza cosa farà Draghi? Ha sempre detto che non vuole restare al governo a dispetto dei santi. Non è disposto a cercare riserve di pazienza. Ne ha messa in campo già tanta. La crisi di governo ha un costo alto, ma non si può escludere del tutto. È la «variabile Cincinnato». Draghi si ritira, spazientito, per essere richiamato in un altro ruolo. È chiaro che anche questo scenario ipotetico presuppone una dose elevata di calcolo e di cinismo. È insomma una caso limite.

La manovra resta comunque un terreno delicato. È chiaro che ci sia il rischio di una resa dei conti tra le varie anime della maggioranza. È il momento in cui si possono mettere all'angolo i rivali. La stessa richiesta di Letta di un patto di maggioranza assomiglia a una trappola. È un modo per spingere Salvini verso un atto di sottomissione. È costringerlo ad ammainare le sue bandiere su tasse e pensioni. Il piano non ha però funzionato. Silvio Berlusconi ha detto sì al patto e lo stesso Salvini ha aperto a un tavolo dei leader di partito per trovare un'intesa politica e parlamentare: «Lo avevo già proposto il 13 ottobre. Non serve andare muro contro muro».

È una promessa di stabilità, che rassicura Draghi, ma forse lo tiene un po' più lontano dal Quirinale.

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