Economia

Manovra, il pallottoliere passa a un bocconiano

Il Mef ha un nuovo capo economista: Barbieri, cresciuto nelle grandi banche d'affari

Manovra, il pallottoliere passa a un bocconiano

Milano - Si chiama Riccardo Barbieri Hermitte, sta per insediarsi al Tesoro come nuovo capo economista e dovrà far tornare i conti delle promesse di Renzi.

Bagaglio accademico e esperienze sul campo non gli mancano: con in tasca una laurea con lode in Discipline economiche e sociali alla Bocconi di Milano e un Ph.D. in Economics alla New York University, il 57enne Barbieri ha fatto carriera nella finanza specializzandosi prima nei mercati emergenti e poi di quelli dell'Eurozona. Capo economista europeo del colosso finanziario giapponese Mizuho, ha lavorato anche per Merrill Lynch, Morgan Stanley e in JpMorgan come economista sull'Italia. Non è considerato uno del cerchio magico renziano: nel suo passato si trova solo un passaggio nel fondo Algebris di Davide Serra, poi diventato uno dei principali supporters anche finanziari del presidente del Consiglio. Ma parliamo del 2010 e di una brevissima parentesi (da gennaio a giugno). Barbieri è stato scelto a gennaio dal ministero dell'Economia dopo una selezione che ha preso in considerazione 59 candidature fra personale interno alla Pubblica amministrazione ed esterni. Gli è stato affidato il ruolo (prima occupato da Lorenzo Codogno) di guida della «Direzione I», una delle più importanti perché oltre a sviluppare le analisi economiche ed elaborare le previsioni che sono alla base della politica economica del governo è anche l'ufficio che più degli altri si relaziona con gli omologhi europei e gli uffici della Commissione.

La missione è assai delicata anche per un altro motivo. Come ha fatto notare qualche giorno fa un articolo di Italia Oggi , infatti, Renzi non è molto bravo in matematica. Il premier ha annunciato una serie di rivoluzioni: l'abolizione delle imposte sulla prima casa (costo 3,2 miliardi) e dell'Imu sui beni strumentali (2 miliardi), una riduzione dell'Irap e una possibile riduzione delle aliquote dell'imposta sui redditi. Tutte promesse - ha sottolineato velenosamente ieri sull' Avvenire Romano Prodi - «in cui manca ancora l'aspetto quantitativo e delle compatibilità». Di certo, per queste misure andranno trovate le relative coperture. Senza dimenticare che all'appello mancano ancora 16,2 miliardi per evitare che scattino le clausole di salvaguardia previste nella legge finanziaria 2015. E calcolando altre spese da coprire ballano tra i 25 e i 30 miliardi. Dieci arriveranno, dice Renzi, dalla spending review, altri 5 o 6 da una maggior flessibilità sul rientro dal debito cui potrebbe essere sommato qualche altro miliardo dal risparmio degli interessi (spread permettendo) e dagli introiti fiscali. Ma anche stando larghi con le previsioni non si arriva a 20 miliardi. Se il governo riuscirà a trovare la quadra lo si scoprirà solo a ottobre quando la legge di stabilità verrà presentata in Parlamento. Ma chi dovrà firmare quei documenti - facendo prima tornare i conti abbozzati con le tabelle dei ragionieri generali dello Stato - sarà Barbieri.

Auguri.

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