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Manuale americano insegna come essere genitori digitali

Manuale americano insegna come essere genitori digitali

Nel sottotitolo, il manuale di Jordan Shapiro, americano, professore di filosofia, esperto di competenze digitali e tecnologia nell'istruzione, è definito «indispensabile», e ci sarebbe subito da sospettare, però il titolo, Il metodo per crescere i bambini in un mondo digitale (Newton Compton, pagg. 320, euro 12) mette qualunque genitore di fronte a un tema che non può non affrontare con i propri figli. Di solito l'approccio è: puoi usare la Nintendo mezz'ora, l'iPad quindici minuti, un'ora di tv, adesso basta, esci a giocare, niente telefonino per una settimana...

Dice Shapiro che è tutto sbagliato. Perché, a pensarci bene, anche «Platone era un gamer», come ha detto l'altra sera alla basilica di Massenzio a Roma, al Festival Letterature. Professor Shapiro, ma è sicuro? «Socrate si rifiutava di scrivere alcunché, invece Platone, mettendo per iscritto il pensiero del suo maestro, ci portò a fare un grande salto in avanti. Benché il suo mentore fosse contrario». Insomma i figli immersi nelle tecnologie sarebbero Platone, e le mamme e i papà Socrate, e i Socrate, beh, sono spaventati da tutto questo progresso. «Più il cambiamento è ampio, più siamo impauriti. Ancora di più per ciò che riguarda l'educazione e le tecnologie della connettività, che hanno a che fare con il modo in cui pensiamo l'esistenza in base a certi valori, organizziamo le nostre vite e facciamo esperienza del mondo».

Non è che i genitori si preoccupino per nulla, però i divieti non funzionano: «Bisogna riconoscere che queste tecnologie sono parte della vita dei nostri figli e dire loro: ecco come puoi usarle, come puoi fare in modo che ti aiutino ad articolare meglio il senso di te stesso, a comunicare, a esprimerti. Dobbiamo far capire che non sono solo un modo per far sì che si distraggano un paio d'ore, senza di noi». Il principio, dice Shapiro da americano, è quello «del playground», cioè il campetto: come lì ti metteresti a giocare con tuo figlio e a guardare quello che fa, almeno fino a che arriva qualche altro bambino, «così bisogna fare nello spazio digitale». Partecipare. Nel mondo digitale la regola, più che imporre regole, è: «Genitori e insegnanti devono essere più mentori, e meno censori».

Non è così facile, specialmente per chi è negato... «Io non sono bravo con i videogiochi, ma con i miei figli ho giocato moltissimo, quando erano piccoli - dice Shapiro - Oggi meno, perché sono cresciuti e perderei, però se hanno un gioco nuovo lo provo sempre. È qualcosa di molto potente, che a loro dà un senso di autonomia e di dignità in quello che fanno». I genitori si siedono accanto ai figli, guardano, fanno domande; gli insegnanti possono usare questi strumenti anche a scuola, perché i videogame sono «le nuove fiabe, che non sostituiscono quelle vecchie, ma sono una forma per comunicare, esprimere idee, canalizzare emozioni, raccontare l'esperienza umana». Non è quindi questione di minuti o di ore passate allo schermo: «I figli vanno sempre protetti, ponendo limiti e confini, ma la tecnologia non è qualcosa da cui proteggerli. Ci sono pericoli, come in tutto. Anche attraversare la strada è pericoloso, ma che facciamo, stabiliamo che si può attraversare la strada al massimo per due ore al giorno? Il punto non è la durata dell'esposizione bensì la qualità di quello che succede in quel momento». E non è questione di età: «Se un adulto passasse la giornata attaccato a uno schermo sarebbe comunque un problema. L'importante è mantenere il contatto.

I genitori hanno questa idea che il tempo trascorso in digitale sia un tempo di solitudine, qualcosa che i figli fanno in modo separato, invece la tecnologia è qualcosa che si può vivere e fare insieme: serve un impegno tecnologico, perché i nostri figli useranno la tecnologia nel modo in cui noi insegneremo loro a usarla...». Con una sola sicurezza, da genitori: «Non è che, se eliminiamo la tecnologia, i nostri figli diventeranno perfetti in automatico... Anzi. Ma questa è la vita del genitore, una esperienza difficile».

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