Margherita, vedi Napoli e poi fai il giro dell'Italia

Nella guida 2017 del Gambero Rosso premiate insegne in ogni regione. Con formule e idee sempre più nuove

Margherita, vedi Napoli e poi fai il giro dell'Italia

Che pizza fa? Ce lo dice l'edizione 2017 della guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso, presentata ieri a Napoli (e dove sennò?), che recensisce e premia le migliori insegne di una tipologia di locale che, per la popolarità del prodotto e la sua intramontabile economicità, rappresenta spesso l'entry level alla ristorazione. In questo caso spesso di altissima qualità. Un volume che da tempo ha deciso anche di porsi come punto di riferimento diremmo «ideologico» al piatto apparentemente più semplice che c'è. Ammirevole anche se spesso discutibile il lavoro sulla divisione in categorie delle pizze, resa necessaria dall'esigenza di catalogare locali spesso molto diversi tra loro: ecco così le pizzerie napoletane (che fanno cioè la pizza tradizionale), quelle all'italiana (formula furbetta per definire quelle meno ortodosse), quella adegsutazione (spiegheremo dopo di che si tratta) e quelle al taglio, particolarmente radicate a Roma.

E allora, che pizza fa? Ottima e abbondante, diremmo. Ormai usciti da una visione puramente napolicentrica del disco di pasta variamente condito e messo in forno, ci godiamo pizzerie ottime in tutta Italia. E diciamo tutta: dal Piemonte alle Marche, dall'Umbria alla Sicilia, da Roma a Milano. Lontani anche i tempi - era qualche anno fa - in cui da Napoli si levavano voci indignate per il semplice fatto di mischiare nelle guide e nelle classifiche online i templi partenopei della margherita agli «infedeli» dell'arte bianca veneti oppure liguri. Oggi dopo la Campania, con 13 insegne premiate tra le top, ecco Lazio e Toscana con 9, Piemonte con 5, Lombardia e Veneto con 4.

La pizza ha cambiato il mondo ma il mondo ha cambiato la pizza. Ormai i pizzaioli top sono invitati ai congressi enogastronomici e trattati come star, come Carlo Cracco e spesso anche meglio (ci vuole poco: sono più simpatici). Prendete Gino Sorbillo e Franco Pepe, titolari di un magistero universalmente riconosciuto. Prendete Gabriele Bonci, re romano della pizza al taglio, considerato il guru della lievitazione. Nel suo piccolo locale a due passi dal Vaticano giapponesi e francesi fanno lunghe file per aggiudicarsi un trancio di pizza con melanzane, pomodoro, cipolla, mandorle e scorza di limone a crudo che la guida del Gambero Rosso ha premiato come la migliore dell'anno nel suo genere. Prima la Cappella Sistina di Michelangelo, poi quella di Gabriele. E non è detto che sia la prima a essere ricordata di più.

La pizza ormai è sulle tavole dei re, e non solo perché a una regina è dedicata la più celebre espressione, la Margherita. La nascita delle pizzerie a degustazione, in cui essa è arricchita da ingredienti di altissimo livello e viene trattata come un piatto di ricerca, con veri e propri percorsi ascensionali di gusti e texture, ha rappresentato lo sbarco di essa nel mondo della ristorazione che conta. In molti ragionano sulla possibilità che presto anche la più austera delle guide, la Michelin, possa dare le stelle anche a un locale di questo tipo.

Spesso ristoranti stellati dedicano serate a tema (di recente lo ha fatto Vittorio a Brusaporto, un tristellato, con le pizze di Pepe abbinate allo Champagne Dom Pérignon Vintage 2006), e sono sempre eventi cult.

La pizza, insomma, è terreno di ricerca. Se qualcuno vuole continuarla a considerare un disco rigido da scongelare e mettere in forno si accomodi. Ma peggio per lui.

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