Il marine e il randagio: la nuova vita insieme dopo l'orrore della guerra

Il soldato ha trovato il cagnolino durante una battaglia. Lui lo ha seguito e ora è in America

Il marine e il randagio: la nuova vita insieme dopo l'orrore della guerra

Oscar Grazioli

Che le guerre siano tutte uguali è un luogo comune. Se non sei fuori di testa, quando vedi il nemico che ti spara o le bombe che cadono vicino, hai paura. Ma la paura diventa terrore, quando il nemico è invisibile e ogni metro di terreno che calpesti può nascondere una mina, ogni pietra che rotola può innescare la bomba inesplosa che ti renderà invalido per tutta la vita. Questo è l'Afghanistan, dove si dice che anche gli scorpioni si rifugino sotto un sasso, quando la terra vibra. I disturbi mentali da stress post traumatico dei veterani del Vietnam sono dovuti più a quel che non hanno visto.

Craig Grossi, 34 anni, originario di Burke (Virginia) è un ex marine che ha prestato servizio in Afghanistan. Addestramento di uomini, tattiche, operazioni in prima linea e altri dettagli segreti che non può rilevare erano il suo lavoro quotidiano. All'inizio d'agosto del 2010, Craig arriva in Afghanistan e vi resta per otto mesi. Pochi giorni di acclimatamento nell'inferno, anche climatico, di quel paese, diverse riunioni con i soldati e gli ufficiali già di stanza ed è già inviato a nord della Green Zone. È il suo primo giorno operativo e, per quanto non possa mostrarlo, è nervoso perché ha la netta sensazione di un attacco imminente. Poche ore e vede gli abitanti di un villaggio andarsene con le masserizie sulla testa. «Ci siamo» pensa. L'attacco ha inizio e va avanti per giorni. «Anche in queste situazioni drammatiche- dichiara Craig- ti può colpire un piccolo cane che sta lì, in mezzo ai proiettili, ti guarda e scodinzola». È un bastardino dalle corte zampe e quando, complice il buio, Craig gli si avvicina con un pezzo di carne secca, la coda inizia a mulinare. Per il marine è una sorta di messaggio positivo: anche nella tragedia puoi scodinzolare. Il cane lo segue e un collega gli dice: «Pare tu abbia trovato un amico». «Già, si chiama Fred. Per favore dagli una mano che io devo rientrare subito alla base», risponde il militare.

Dopo tre settimane Craig ritorna sul campo di battaglia e Fred è lì che scodinzola. In quel momento il marine decide che, in barba alle severe norme dell'esercito, quel cane, che gli ha inviato un messaggio di speranza in un momento drammatico, tornerà negli Stati Uniti con lui. Craig racconta che aveva ancora bisogno di un segnale forte. Guarda Fred e gli dice «Se mi segui sul grande uccello e non ti spaventi per il rumore dei rotori, io sono pronto». Si mette a correre verso l'elicottero e, dopo pochi metri, sente un colpetto sul tallone. È Fred che lo guarda e scodinzola. Non ha paura dei grandi uccelli, anche se fanno rumore. Un breve volo e sono Camp Leatherneck. Da lì, Craig comincia il suo paziente lavoro burocratico per spedire Fred a casa. Si fa inviare dalla sorella l'infinita modulistica da compilare e confessa di avere fatto qualche manovra che è certo di non potere raccontare nel dettaglio. Alla fine ce la fa, contro ogni previsione degli amici marines. Pochi giorni dopo l'arrivo di Fred in Usa, Craig viene colpito alla nuca dallo spostamento d'aria di un razzo caduto vicino. La lesione cerebrale guarisce presto e torna in campo.

Quando rientra in America, ad aspettarlo c'è in testa lui: davanti ad amici e parenti si rotolano sulla pista dell'aeroporto.

«L'Afghanistan mi ha colpito duro e cambiato» racconta Craig, ma se è vero che io ho recuperato Fred è altrettanto vero che lui ha recuperato me». La loro storia è da pochi giorni un libro: Craig & Fred: A Marine, A Stray Dog e How They Rescued Each Other.

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