Cronache

Marmolada chiusa: possibili altri crolli. Installato un radar che "capta" le frane. "Giù in 10 secondi"

Come il monte Toc per il Vajont; come la val di Pola per la Valtellina del 1987. E ancora l'alluvione della val di Stava

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Come il monte Toc per il Vajont; come la val di Pola per la Valtellina del 1987. E ancora l'alluvione della val di Stava. È lungo e doloroso il catalogo delle similitudini per provare a comprendere l'immensità della tragedia della Marmolada. Non un incidente «di montagna» in senso stretto: a cedere non è stato l'esiguo ghiacciaio o le chiazze di neve ancora presenti sulla via normale alla Marmolada ormai «desertificata» dal riscaldamento globale. No, a sfaldarsi è stata una calotta di ghiaccio, ancorata ora è evidente - a una fragilissima gengiva di roccia verticale, erosa nei decenni dall'acqua di fusione al suo interno. Una bomba d'acqua e detriti che si è abbattuta sulla via e sulla valle, un dissesto idrogeologico in piena regola, un evento imprevedibile, se perfino il rifugista di Punta Penia, zoomando sulle condizioni del ghiacciaio scandiva dai social, poche ore prima del disastro: «Quest'anno il ghiaccio è pietoso e prenderà una batosta», riferendosi al caldo, ma senza aggiungere notazioni su particolari allarmi o pericoli.

Infatti nessun uomo o autorità, può chiudere un monte (Chi controllerebbe, poi?) e nessuno strumento può prevedere l'imprevedibile. Il ghiacciaio «faceva acqua»: vero. «Lo fanno da anni tutti i ghiacciai alpini. Alcuni sono monitorati, più per ragioni scientifiche che non di sicurezza», spiega Nicola Casagli, professore di geologia applicata a Firenze, centro di ricerca della protezione Civile. Lui è arrivato ieri per installare «radar in grado di captare movimenti rapidissimi, tipo valanghe, e più lenti, tipo frane». A preoccupare, ora, è una serie di blocchi verticali, residui del distacco, che incombono e potrebbero cadere a valle «a grandi blocchi o a pezzi ma in soli 10 secondi», spiega Maurizio Dellantonio, numero uno del Soccorso Alpino nazionale. Una situazione simile a quella che ha portato due giorni fa in valle d'Aosta, come spesso in questo periodo, alla chiusura momentanea della statale che passa sotto al ghiacciaio di Planpincieux di Courmayeur.

Si chiude una strada, non si può, invece, blindare un monte, non basta una bandiera rossa come in una spiaggia attrezzata, così come non si può delimitare il mare. Ora la Marmolada ferita deve però blindarsi e correre ai ripari, non solo per permettere lo svolgimento delle ricerche e dell'inchiesta della procura di Trento. Il pericolo viene anche dalla stupidità se è vero che ieri alcuni escursionisti non hanno rinunciato a spingersi verso il luogo della tragedia per un selfie tanto forte quanto irriguardoso. I cinque accessi alle cime sono stati chiusi ora totalmente: a firmare l'ordinanza Giovanni Bernard, sindaco di Canazei e i colleghi dei paesi limitrofi. Anche la funivia di malga Ciapela, che pure il giorno della tragedia aveva condotto in 12 minuti senza fatica - a punta Rocca centinaia di turisti, è riservata al solo Soccorso alpino che sta operando in condizioni drammatiche. Via aerea, per non rischiare ulteriormente, con droni e interferometri in grado di captare cellulari e via terra solo in caso di avvistamento di qualche traccia. Con l'incognita di imbattersi anche in resti inesplosi della guerra mondiale. Il ghiaccio «rivoltato» parla e restituisce segni e ricordi, purtroppo non speranza. «Non siamo per ora in grado di dire se si tratti di segni di questa tragedia o di altri episodi del passato», spiega il vigile del Fuoco Fausto Zambelli.

Un guanto smarrito negli anni, o un berretto di chi non c'è più non è una differenza sottile per chi attende, ma non basta a mettere a repentaglio nuove vite.

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