Martina ammazzata e lo sconto al killer. Lo choc della madre: "Non è giustizia"

Via l'ergastolo in appello. La vittima uccisa con un colpo di pistola fuori da un locale

Martina ammazzata e lo sconto al killer. Lo choc della madre: "Non è giustizia"
00:00 00:00

Nessuna premeditazione, nonostante fosse uscito di casa armato per l'ultimo incontro con la sua ex. Per questo i giudici della Corte d'Assise di appello di Roma hanno ridotto a 24 anni e 8 mesi la condanna all'ergastolo di Costantino Bonaiuti, l'ingegnere 62enne che nel gennaio 2023 ha sparato e ucciso l'ex compagna Martina Scialdone, 34 anni, avvocato, fuori da un ristorante della capitale, al Tuscolano.

La riduzione di pena, decisa dai giudici escludendo la premeditazione e concedendo all'imputato le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ha lasciato interdetti i familiari della vittima. "Sono veramente delusa, non me lo aspettavo, mi aspettavo la conferma della condanna. Giustizia non è stata fatta. In altri femminicidi sono state avvalorate le condanne all'ergastolo", le parole di Viviana, la mamma della 34enne. Anche Licia D'Amico, legale dell'associazione "Insieme a Marianna" per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e sui minori, costituita parte civile nel processo, è "stordita" dalla sentenza: "Ci lascia profondamente interdetti. Resta il fatto che ormai l'aggravante della premeditazione è diventata una specie di oggetto misterioso nel nostro ordinamento. Qui c'erano comportamenti nettissimi a carico dell'imputato".

Bonaiuti era accusato di omicidio volontario aggravato dai motivi futili e abietti rappresentati dalla gelosia, dall'aver agito contro una persona a lui legata da relazione affettiva, e dalla premeditazione. Contestazioni che in primo grado gli erano costate l'ergastolo. Il pg aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado, ma i giudici d'appello hanno ritenuto che la sera del 13 gennaio del 2023 Bonaiuti non fosse andato all'appuntamento con l'intenzione di uccidere, benché in tasca avesse la pistola semiautomatica Glock che deteneva per uso sportivo e che avrebbe dovuto custodire nella bacheca blindata del suo appartamento. Per questo gli era stato contestato anche il porto illegale in luogo pubblico. In primo grado, invece, era stato riconosciuto che aveva portato con sé l'arma sul luogo dell'appuntamento perché era consapevole che Martina volesse interrompere definitivamente la relazione. Era ossessionato da lei, le mandava continui messaggi sul cellulare, controllava i suoi spostamenti grazie all'installazione clandestina di un dispositivo gps. Sembrava che quella sera, al ristorante, sapesse già cosa fare. Il femminicidio maturò al culmine di una violenta lite davanti ai clienti, quando fu chiaro che la donna volesse mettere fine a quella relazione tossica. La Scialdone aveva cercato di rifugiarsi nel bagno del locale e aveva chiamato il fratello per farsi venire a prendere. Il proprietario era intervenuto per cercare di far tornare la calma tra i due e aveva allertato il 112. La lite, però, era proseguita anche fuori dal locale, dove Bonaiuti aveva tirato fuori la pistola e premuto il grilletto a distanza ravvicinata. Martina morì tra le braccia del fratello, arrivato nel frattempo.

Nel corso del processo di primo grado le amiche della vittima hanno parlato dei suoi timori per quella

serata. "L'ho sentita preoccupata - ha detto una testimone - e le ho detto di chiamarmi per raccontare cosa accadesse". La 34enne aveva paura anche la sera del femminicidio. Ma per i giudici non c'è stata premeditazione.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica