E dunque non sono solo palle che rotolano, dice Sergio Mattarella, o gambe che corrono, o diagonali, tagli, raddoppi sulla fascia. No, questo è lo spirito nuovo del Paese. «La rivoluzione nel gioco, la capacità di fare squadra e di lavorare insieme, l'impegno nel preparare ogni singola partita», ecco per il presidente le chiavi che hanno portato gli azzurri sul tetto d'Europa e, da qualche mese, l'Italia in ripresa, più libera dal Covid, ascoltata nella Ue. E vale pure per Matteo Berrettini, che usa palle più piccole e gioca da solo, ma dietro ha staff, organizzazione, un movimento in crescita, altri talenti che sbocciano. Insomma, come spiega Mario Draghi, «è il sistema Italia, che voi avete messo al centro del mondo».
Tutti sul Colle, poi a Palazzo Chigi, poi sul pullman aperto per l'abbraccio di Roma. C'è molto da festeggiare: la nazionale che vince il campionato europeo dopo 55 anni, un tennista in finale a Wimbledon per la prima volta nella storia, l'exploit dei giovani dell'atletica leggera, una nazione che rinasce dopo la pandemia. E se di storie di campioni né abbiamo da vendere, per le imprese collettive oltre ai fenomeni serve un grande allenatore, e non soltanto nel calcio. La capacità di guardare l'obbiettivo senza farsi condizionare, il metodo dell'affrontare i problemi uno alla volta, la rete di protezione stesa da Mattarella nei momenti più difficili, il cambio di passo netto del nuovo governo, il gioco d'attacco di Roberto Mancini. Tutto si mischia nella tiepida serata romana. Donnarumma che para i rigori, Spinazzola che salta con le stampelle e un Paese che sta per varare riforme attese da decenni. La squadra è un'orchestra, non una serie di solisti: gli uomini giusti al posto giusto nelle formazioni e nei ministeri e così la vittoria di Wembley e l'impresa di Wimbledon, in casa Brexit, aumenta e moltiplica la velocità di ripresa italiana. «National resurgence», ha titolato il New York Times, e dentro mettiamoci anche i Maneskin, che tre anni fa suonavano per strada e adesso sono in testa alle classifiche.
«Non dimenticate di portare la coppa», scrive Draghi su Twitter alle sei di pomeriggio mentre gli azzurri sono ancora sul Colle, dove Mattarella li ha accolti nei giardini come il nonno persino esperto di calcio e che non rinuncia a sottolineare l'atteggiamento ostile degli inglesi ormai ex partner. Parla a braccio. «Non è giorno di discorsi ma di applausi e ringraziamenti. Complimenti! Avete meritato di vincere ben al di là del punteggio finale perché avete avuto due pesanti handicap, giocare fuori casa a Wembley e il gol a freddo che avrebbe messo in ginocchio chiunque. Siete stati circondati dall'affetto della gente e l'avete ricambiato». Italian job, altro che british style. Altro che coming home: la coppa è arrivata a Roma.
Le immagini sul maxischermo, i regali, la maglia numero dieci per il capo dello Stato, l'orgoglio dei presidenti delle federazioni e di Giovanni Malagò, le parole sentite di Mancini e Chiellini, la commozione per Vialli e il ricordo di Davide Astori. Mattarella premia pure Berrettini, che da due giorni e un po' il fratello adottato. «Anche lui ha fatto onore all'Italia e allo sport, in finale a Wimbledon, con quel set rimontato che equivale a una vittoria». Matteo risponde così: «Grazie, sono onorato. Voglio tornare con un trofeo». Mattarella chiude ricordando il sistema vincente, un cocktail di «senso di appartenenza», «spirito di collaborazione», «interesse nazionale». Uno schema, questo è il sottotesto presidenziale, da applicare anche in politica, ora che stiamo per ricostruire il Paese grazie ai 240 miliardi europei.
C'è folla per il centro e il pullman ci mette quasi un'ora per coprire il chilometro e mezzo che separa il Quirinale da Palazzo Chigi. Alle 18,30, a sorpresa, strappo al protocollo, il premier spunta dal portone e accoglie gli azzurri sulla piazza. Foto, abbracci, piccole gag, tifosi in delirio, tutti saltano davanti alla Colonna Antonina e pure Draghi accenna appena un movimento verticale. Euforia tanta, zero formalità, una festa tra amici.
E poi dentro, con il cerimoniale che fatica. Inno nazionale, cantato da tutti, anche da Draghi, poi i discorsi, le battute del premier sulle «paratone» di Donnarumma. Lo cerca. «Dove stai? Ah eccoti». E Mancini e Spinazzola «stampellato» e Berrettini che gli regala la racchetta e il duo Bonucci-Chiellini che sembrano intimi di SuperMario e tutti gli impiegati di Palazzo Chigi affacciati alle finestre. E Gabriele Gravina che spiega come il calcio renda l'Italia «più credibile» e la vittoria abbia già prodotto «un aumento dello 0,7 per cento del Pil».
E Draghi che parla. «I vostri successi sono straordinari, ci avete rimesso al centro. Oggi lo sport segna in maniera indelebile la storia delle nazioni. È un formidabile ascensore sociale e, in questi periodi di difficoltà, un collante e un forte antidoto al razzismo. Io sono sempre stato orgoglioso di essere italiano e oggi con i vostri sprint, servizi e parate siete entrati nella storia».
Baci abbracci, una numero 10 firmata pure per il regista del governo. E la banda in alta uniforme attacca la Parata degli Eroi, l'inno che si suona quando c'è un capo di Stato straniero in visita ufficiale. Fuori il pullman scoperto attende gli azzurri. La festa continua.
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