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Matteo sotto assedio. Adesso vuol far saltare l'asse di centrodestra

Per recuperare consensi pensa alla corsa in solitaria alle Regionali. I dubbi dei suoi

Matteo sotto assedio. Adesso vuol far saltare l'asse di centrodestra

Il contraccolpo inizia a farsi sentire a metà pomeriggio, quando il voto su Matteo Salvini è ancora in corso ma Palazzo Madama si va già svuotando perché non c' è pathos né attesa per un risultato già scritto da giorni. Un epilogo al quale lo stesso leader della Lega ha dato il suo contributo. A gennaio, quando i senatori del Carroccio hanno votato in Giunta per le autorizzazione a favore del processo, di fatto ribaltando «l'onere della prova» nel successivo passaggio in Aula. E ieri, rivendicando nel suo intervento al Senato di volersi fare processare. Concetto su cui Salvini torna più volte. Con i suoi senatori che annuiscono e applaudono entusiasti.

Passata qualche ora, però, l' euforia del momento si va esaurendo. E restano i dubbi dei tanti senatori della Lega che per la prima volta ragionano sulla possibilità di ritrovarsi con un leader alle corde. I sondaggi, ci mancherebbe, dicono che l' ex vicepremier è ancora il Re Mida dei consensi, con il Carroccio che nei sondaggi resta sopra il 30%. Eppure l' autorizzazione a procedere sulla vicenda della Gregoretti ha il sapore di quello che potrebbe diventare uno spartiacque nella storia politica di Salvini e, dunque, della Lega. Lo sanno bene anche i big del Carroccio, che se in pubblico ostentano sicurezza granitica, in privato s' interrogano su come andrà a finire una partita che si annuncia lunghissima. «Il problema di Matteo è che ragiona sempre guardando al breve periodo. Quasi mai considera cosa potrà succedere fra tre, quattro o cinque mesi», è stata una delle obiezioni recapitate direttamente a Giancarlo Giorgetti da un colonnello leghista.

D'altra parte, non è la prima volta che accade. Andò così ad agosto, quando il leader del Carroccio aprì la crisi. E un copione simile l' ha messo in scena tra dicembre e gennaio. Prima volendo imporre la candidatura in Emilia-Romagna di Lucia Borgonzoni nonostante i dubbi di Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. Poi mettendo la faccia sulla campagna elettorale, convinto che avrebbe portato alla spallata definitiva al Conte 2. È finita, invece, che da quel voto ne è uscito ammaccato lui, che pur di imporre la Borgonzoni e portare a casa la presidenza del Copasir per Raffaele Volpi aveva dato il via libera alle candidature di Stefano Caldoro in Campania e Raffaele Fitto in Puglia. Un patto che ora Salvini disconosce, ben consapevole che avendo fallito la conquista dell' Emilia rossa le Regionali che si terranno in primavera potrebbero riscrivere gli equilibri del centrodestra. Alla Lega, infatti, spetta la Toscana, Regione al momento data per non contendibile.

Mentre se è scontato il successo di Luca Zaia in Veneto, appare più tortuosa la strada di Giovanni Toti in Liguria. E una sua eventuale sconfitta sarebbe politicamente messa in conto a un Salvini che in quella Regione ha un peso specifico non indifferente e che con il governatore ligure è andato lungamente a braccetto. In Campania e Puglia, invece, le candidature di Caldoro e Fitto farebbero da traino a Forza Italia e Fratelli d' Italia. Con il partito della Meloni che in Puglia finirebbe addirittura per scavalcare la Lega (Fitto è ormai un esponente di Fdi ed è evidente che il risultato di una sua lista del presidente sarebbe da sommare ai voti della Meloni). Di qui l' agitazione di queste ore e la minaccia di Salvini: «O scegliamo candidati condivisi, magari affidandoci alla società civile, oppure la Lega è pronta a correre da sola in tutte le Regioni». Insomma, a spaccare il centrodestra, come già accaduto quando diede vita al Conte 1 insieme al M5s.

Da ieri, d'altra parte, il leader della Lega si sente un uomo braccato. Perché il processo Gregoretti sarà lungo, probabilmente non sarà l' unico (vedi Open Arms) e con una condanna di primo grado c' è il rischio concreto che scatti la Severino. Salvini, insomma, potrebbe presto essere incandidabile e quindi perdere la leadership del centrodestra. Di qui la minaccia alla Meloni di far saltare il banco e correre da solo. Perché in questi mesi più che mai il leader della Lega avrà bisogno di consenso che gli faccia per quanto possibile da scudo ai processi.

E l' unico consenso che conta davvero non è quello dei sondaggi, ma quello delle urne.

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