Il lavoro in Italia perde valore sotto tutti i punti di vista, in primo luogo da quello meramente retributivo. Da una parte i redditi sono compressi da un carico fiscale che non ha pressoché uguali in Europa, dall'altra parte la penalizzazione della produttività e la crisi hanno dato il colpo di grazia alle buste paga.
Non si tratta, in questo caso, di replicare pedissequamente le lamentele della Cgil, che troppo spesso è ancorata ai concetti di uguaglianza e di redistribuzione, totalmente sganciati dalla quotidianità del mondo del lavoro contemporaneo. Si tratta solo di osservare i numeri e vedere cosa non funziona. E in questo caso, un'ottima base di dati è fornita dalle statistiche dell'Ocse, rielaborate dall'agenzia Adnkronos. In Italia il cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti, cioè il prelievo costituito da tasse e contributi, è aumentato di 1,8 punti percentuali in 5 anni passando dal 47,2% del 2010 al 49% dello scorso anno. Tale incremento è dovuto all'incidenza crescente dell'Irpef che, nel periodo considerato, è passata dal 15,7 al 17,5% del totale. Una crescita che si può spiegare con due fenomeni: da una parte la sostanziale stabilità delle retribuzioni (agganciate a un tasso di inflazione che oramai si è fermato) e dall'altra parte il boom delle addizionali comunali e regionali che, in assenza di fasce di salvaguardia, colpiscono proprio i redditi più bassi come quelli dei dipendenti.
Rispetto alla media dei Paesi Ocse, che si ferma al 35,9%, il fisco ha un'incidenza maggiore sulle retribuzioni di 13,1 punti percentuali. Negli anni la forbice si è allargata di un punto: nel 2010, infatti, era di 12,1 punti. Demerito dell'Irpef, come dicevamo, ma anche di contributi previdenziali e assistenziali monstre. Il 24,3% del reddito è rappresentata dalla parte a carico dell'azienda, mentre il 7,2% è quanto versato dal lavoratore. Risultato: la busta paga si alleggerisce di circa un terzo.
Fondamentalmente, la perdita di competitività e la recessione dell'Italia sono tutte condensate qui. In ambito Ocse ci sono solo quattro Paesi che hanno un carico sul lavoro maggiore del nostro: Belgio, Austria, Germania (dove però il maggior carico è ripartito equamente su tutte e tre le voci) e Ungheria. Francia e Repubblica Ceca sono invece i due Paesi con prelievi previdenziali e assistenziali a carico delle aziende maggiori di quello italiano. Inutile dire che il welfare della concorrenza funziona meglio e, quindi, supplisce anche a eventuali carenze delle retribuzioni che però a Berlino, Bruxelles e Vienna sono di gran lunga superiori a quelle italiane. Nel nostro Paese, invece, chi lavora finanzia la spesa corrente delle pubbliche amministrazioni e il disavanzo dell'Inps.
Come si evince dai dati Ocse la «pacchia» per lo Stato non potrà continuare a lungo. Il salario medio in Italia è di 27.808 dollari (24.775 euro) ed è inferiore di 3.074 dollari rispetto alla media dei paesi Ocse (30.882 dollari) Nel periodo 2010-2015 i redditi dei dipendenti italiani sono cresciuti in media di 2.536 dollari lordi, contro i 3.762 dollari della media Ocse.
Non sorprende, perciò, che la detassazione dei premi di produttività prevista dall'ultima Stabilità abbia determinato la corsa agli incentivi in natura (totalmente detassati) come i rimborsi per baby sitter o badanti. Iniziativa lodevole, ma Renzi e Padoan stanno finendo le munizioni.
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