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"Via la medaglia a Tito", muro di Pd & C.

Ma mercoledì in Commissione si voterà la rimozione dell'onorificenza. Poi testo in Aula

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«Con Tito io ho perduto un compagno e un amico. Il suo patrimonio ideale e politico non andrà disperso. E l'ha lasciato in mani sicure» scrive sul libro delle condoglianze il capo dello Stato, Sandro Pertini, giunto a Belgrado per i funerali solenni del Maresciallo, il giorno dopo, l'8 maggio 1980. Non è stato lungimirante sul futuro della Jugoslavia sprofondata nella sanguinosa guerra etnica dieci anni dopo. «Con l'amicizia fraterna che a Tito mi legava guardo fiducioso all'amicizia del popolo jugoslavo» conclude di suo pugno il socialista Pertini.

Basta questa dedica per capire quanto è difficile per la sinistra di oggi ingoiare la revoca della più alta onorificenza italiana al Maresciallo. Tre proposte di legge di Massimiliano Panizzut (Lega), Fabio Rampelli e Walter Rizzetto (Fratelli d'Italia) sono in discussione alla prima Commissione Affari costituzionali. Mercoledì si arriverà al voto per inviare un testo definitivo alla Camera. La norma punta a cambiare la legge sulle alte onorificenze che prevede la revoca solo se il personaggio che le ha ricevute è ancora in vita. La prima modifica è «che può essere disposta anche dopo la morte dell'insignito». E la seconda che «in ogni caso incorre nella perdita dall'onorificenza all'insignito, anche se defunto, qualora si sia macchiato di crimini crudeli e contro l'umanità». Negli allegati che la illustrano si spiega chiaramente che «la finalità dei proponenti è in particolare quella di eliminare gli ostacoli giuridici () che avrebbero finora impedito di poter revocare l'onorificenza di Cavaliere di Gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, decorato di Gran Cordone che è stata conferita nel 1969 al Presidente della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia Josip Broz, noto come Tito». Della Commissione, ma non si fa mai vedere, fa parte pure la leader del Pd, Elly Sclein, che ieri è stata criticata per il silenzio sul giorno del Ricordo votato vent'anni fa dal suo partito. Massimiliano Lacota, dell'Unione degli istriani, è partito all'attacco stigmatizzando che non aver trovato «l'occasione di spendere una parola per ricordare i drammi del confine orientale è davvero disgustoso e vergognoso. Senza se, e senza ma!».

Non è un caso che ieri Gianni Cuperlo, alfiere del Pd in Commissione, sia uscito su Repubblica con un'intervista sul 10 febbraio titolata così: «Il negazionismo oggi è quello della destra sulle violenze del fascismo».

E in Commissione l'8 febbraio è successo di tutto: Filiberto Zaratti (Alleanza Verdi Sinistra), d'accordo con Cuperlo nella discussione sui crimini, è riuscito a dire che «un concetto eccessivamente ampio potrebbe ricomprendere un po' di tutto, anche la condotta di colui che investe un cane per strada». Poi ha chiesto scusa, ma si è rischiata la zuffa con Panizzut, che ha avuto familiari uccisi dai partigiani di Tito.

Un altro Dem a fare melina, per evitare la revoca della medaglia, al maresciallo jugoslavo è il piemontese Federico Fornaro. Mercoledì i nodi verranno al pettine e il Pd assieme ai Verdi di sinistra e ai grillini, che li spalleggiano, dovranno decidere cosa votare sul testo che andrà alla Camera.

E sarà interessante osservare le scelte di altri deputati della Commissione come Simona Bonafè (Pd), la renziana Maria Elena Boschi, Maria Carfagna di Azione e Riccardo Magi di Più Europa.

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