Media russi scettici: niente concessioni

Il Cremlino ha abbassato le aspettative del colloquio: "Restano le nostre condizioni"

Media russi scettici: niente concessioni
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Il balletto continua. Alle condizioni date e per motivi opposti, sia Vladimir Putin sia Volodymir Zelensky non sembrano particolarmente orientati alla pace. Ma ognuno dei due ha paura di suscitare l'ira del mercuriale Donald Trump. La strategia di entrambi è quindi quella di muoversi perché la colpa di un eventuale insuccesso ricada sull'altro. Nella sostanza di concessioni concrete ancora non se ne vedono, ma gli ossequi abbondano. Conversazione «molto schietta e molto utile, la giudico molto costruttiva», ha detto Putin del colloquio. «Siamo sulla strada giusta». E ancora: i russi sono «pronti a lavorare a un memorandum per un futuro trattato di pace», naturalmente dopo aver «risolto le cause di fondo del conflitto». E con questo, per così dire, si torna alla base. Cioè alla mancanza, per il momento, di un accordo sulle questioni che contano. Trump annuncia la ripresa immediata dei negoziati tra le parti, ma l'atteggiamento di Putin sembra piuttosto ispirato a un prudente attendismo.

Nella sua strategia l'inquilino del Cremlino ha un paio di vantaggi: è convinto, a torto o a ragione, che il tempo sia dalla sua parte; in più, per motivi che forse hanno a che fare con la psicologia forse con il semplice rapporto di forze tra le parti, il presidente americano tende per gli insuccessi a prendersela più con l'omologo ucraino che con lui. Risultato: per un colloquio telefonico che dal punto di vista della Casa Bianca doveva cambiare le carte in tavola, lo zar non ha neppure ritenuto di variare i suoi programmi: era previsto che andasse in visita a Sochi e così ha fatto.

Il suo servizio stampa ha fatto sapere che ha parlato con Trump dalla saletta di una scuola di musica dove aveva appena salutato allievi e insegnanti. Un sistema per fa rientrare la telefonata in una specie di ordinaria amministrazione e per abbassare al minimo le aspettative. Lo stesso aveva fatto il portavoce Dmitri Peskov, poche ore prima della chiamata: per la fine della guerra «c'è di fronte a noi un lavoro meticoloso e in alcune aree, prolungato». Niente soluzioni miracolistiche, dunque. Per gran parte della giornata la home page della Tass, dai tempi del comunismo agenzia più o meno ufficiale del Cremlino, è stata dominata dalle dichiarazioni di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri: «Le nostre linee guide sono state fissate dal presidente Putin nel 2024 e non cambiano». Con toni e sfumature diverse è stata la musica cantata da tutti gli organi di informazione russi. Anche le nuove sanzioni europee (nel mirino quasi 200 navi ombra che trasportano di nascosto il petrolio ex sovietico) e quelle proposte al G7 (abbassamento del tetto al prezzo del petrolio «ufficiale» russo a 50 dollari) vengono accolte a Mosca con parole di sfida. Qualche settimane fa il comandante militare della Nato, Chris Cavoli, è stato sentito dalla Commissione Difesa del Senato Usa.

Ha detto che nella storia l'industria militare russa non è mai stata così potente ed efficiente. Quest'anno produrrà 3mila veicoli blindati e 1.500 carri armati, dieci volte tanti quelli prodotti negli Usa. Forse per questo Putin è così «prudente» quando si parla di accordi.

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