da Roma
Per ventiquattrore tutti d'accordo sul minimizzare. Da Palazzo Chigi alla Lega passando per il ministero della Difesa, c'è stato un coro di rassicurazioni sul fatto che il decreto armi per l'Ucraina sia entrato e uscito dall'ordine del giorno del pre-Consiglio dei ministri che ieri ha preceduto la riunione di governo in programma oggi pomeriggio solo ed esclusivamente per "questioni tecniche".
E invece no. O almeno così sembra dalla nettezza con cui Giorgia Meloni - ospite d'onore in Bahrein della 46esima sessione del Consiglio di cooperazione del Golfo - mette in chiaro che il decreto si farà entro l'anno. "La possibilità di inviare aiuti all'Ucraina scade il 31 dicembre e - dice la premier - prima di quella data faremo altri Consigli dei ministri". Insomma, "noi lavoriamo per la pace" ma "finché c'è una guerra faremo quello che abbiamo sempre fatto per aiutare l'Ucraina a difendersi".
Parole che vanno nella direzione diametralmente opposta di Matteo Salvini e di tutta la Lega. Che da una parte cannoneggia il decreto armi e dall'altra insiste nel riaprire al più presto un canale con Mosca, bocciando l'idea di utilizzare i fondi del Mes per sostenere l'Ucraina. Un affondo concentrico, condito da un'ufficiosa ma inaspettata presa di distanza anche dalla riforma della legge elettorale, su cui un autorevole esponente del Carroccio non estraneo al dossier inizia a far filtrare dubbi e perplessità, arrivando a evocare "intenti quirinalizi". Saranno pure i postumi delle regionali, ma tant'è.
Andiamo però con ordine. Dopo il giallo di martedì sull'odg del pre-Consiglio dei ministri da cui in poche ore viene sbianchettato il decreto armi per Kiev, ieri Meloni ribadisce a favore di telecamere che il provvedimento sarà approvato entro fine anno. "Questo - spiega - non vuol dire lavorare contro la pace, vuol dire che finché c'è una guerra aiuteremo Kiev a difendersi da un aggressore". Poi, una digressione non irrilevante su Mosca. Perché, dice la premier dopo la visita alla cattedrale di Nostra Signora d'Arabia, la guerra "va avanti da quasi quattro anni e con oggettivamente una disponibilità" alla pace "da parte ucraina, da parte statunitense e da parte europea" ma "ad oggi non da parte russa". Infine un affondo sull'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il capo del comando militare Nato che al Financial Times aveva ipotizzato una guerra ibrida preventiva con Mosca. "Siamo in una fase in cui bisogna misurare bene cosa si dice, bisogna evitare tutto quello che può generare confusione, spaventare e surriscaldare gli animi. Circoscriverei le sue considerazioni alla cybersicurezza", dice Meloni.
Nelle stesse ore, Salvini e la Lega si assestano però su posizioni distanti anni luce. Il vicepremier, infatti, ai suoi fa sapere che il via libera al decreto armi non è affatto scontato e auspica che a breve si possa riaprire un ponte tra Europa e Russia. "Oggi - dice - può sembrare un pio desiderio, ma tra qualche mese spero di poter tornare a volare su Kiev e Mosca da Roma e Milano". Nel frattempo il capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo fa sapere che il decreto che proroga le armi a Kiev non è "allineato al percorso negoziale" in corso. Che in verità non sembra in buona salute se dopo la fumata nera di martedì sera nei colloqui al Cremlino, ieri è anche saltato l'incontro in programma a Bruxelles tra gli inviati Usa Steve Witkoff e Jared Kushner e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ma Romeo tira dritto: "Un conto è difendere l'Ucraina, altra cosa è alimentare una guerra. In questa fase serve un provvedimento che guardi alle garanzie di sicurezza dell'Ucraina nell'ambito del piano di pace degli Stati Uniti. Una semplice proroga rischia di non essere allineata al percorso negoziale". Infine, a sostegno delle ragioni di Mosca, intervengono i leghisti Andrea Crippa, Claudio Borghi e Alberto Bagnai.
Tutti si oppongono all'utilizzo dei fondi del Mes per garantire lo sblocco dei prestiti legati agli asset russi congelati. Un'ipotesi avanzata ieri a Bruxelles a margine della ministeriale Nato dall'altro vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.