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La memoria corta del governatore dem: "Ho visto politici del Pci fare cose terribili"

Il presidente pugliese allude a possibili reati compiuti in passato, ma stavolta non fa nomi

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«Ho visto gente del Pci fare cose terribili», sibila Michele Emiliano a Goffredo Buccini del Corriere della Sera. La frase resta appesa lì, come se l'interlocutore non avesse colto a pieno il senso di questa rivelazione, non certo dal sen fuggita. Non adesso che il governatore pugliese vuole fare da pontiere con Giuseppe Conte per provare a ricucire lo strappo nato sulla «questione morale» che dilania gli eredi del partito di Enrico Berlinguer.

Ma di cosa parla Emiliano? Anzi, di chi? Quali sono queste «cose terribili» che ha visto fare? Si tratta di qualcuno che è ancora nel Pd? «Non è che la provenienza politica determini il tasso di onestà di un politico. Il lavoro preventivo di screening è difficilissimo». Sarà per questo che il Pd non lo avrebbe mai «metabolizzato»? Chi sono questi personaggi «che da vent'anni si sentono bloccati da me e non vedono l'ora che mi ritiri», di grazia? Emiliano non lo dice, il giornalista non glielo chiede.

Proviamo a fare delle ipotesi. C'entra Massimo D'Alema, che lo lanciò in politica? «D'Alema non mi ha lanciato per niente», ripete il governatore. Negli anni Ottanta e primi anni Novanta Bari è stata governata ininterrottamente da giunte di centrosinistra, a guida Dc o Psi, ma delle quali ha anche a volte fatto parte il Pci. Il centrosinistra unitario espresse (seppur per pochi mesi nel 1995) il sindaco Pds Pietro Leonida Laforgia, padre del candidato M5s e Sel Michele Laforgia e considerato uno dei più amati politici pugliesi. È a lui o alla sua giunta che si riferisce? Lo dice da magistrato al corrente di notizie di reato? Ha mai indagato su queste vicende? Perché ammicca ma non spiega? Di cosa ha paura, ormai?

La «questione morale» che sta seppellendo il più grande partito di sinistra d'Italia merita qualche spiegazione in più, a maggior ragione da chi dal 2004 è stato sindaco di Bari assieme a compagni di viaggio eredi del Pci e di quella «classe dirigente con storie grigie» che si è spostata in massa nel Pds poi nel Pd, come lo stesso Emiliano ammise in un'intervista nell'aprile del 2011, di cui però il governatore si è servito in questi anni per fare il bello e il cattivo tempo a Bari e in Puglia da vent'anni e più.

C'entra qualcosa l'inchiesta sugli sprechi dietro la Missione Arcobaleno, l'operazione umanitaria voluta nel 1999 proprio dal governo D'Alema in Albania per sostenere i kosovari in fuga dalle bombe Nato? L'indagine di Emiliano si è conclusa in un nulla di fatto, il processo è stato il classico esempio di giustizia lumaca: tutti i reati sono stati dichiarati prescritti nel 2012, il collegio dei giudici è cambiato più volte e la prima udienza è stata rinviata sette volte in due anni.

E se le colpe di questi scomodi compagni di strada, i figliocci dello stesso Pci che cacciò Nichi Vendola perché era omosessuale, fossero legati al modo in cui il Pci «governava» le elezioni, con tanto di brogli? «Nel Pci c'era una vera scuola», scrisse Claudio Velardi nel suo libro L'anno che doveva cambiare l'Italia, quando ammise che la «tratta delle bianche» con la matita infilata tra medio e anulare era una delle materie di studio nel Pci, all'insegna del mantra di Josef Stalin «non conta chi vota, conta chi conta i voti».

O chi li paga.

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