Guerra in Ucraina

Meno export ma prezzi più alti: Mosca in bilico. In Italia c'è il rischio di aumenti per le famiglie

La Russia il terzo produttore al mondo. Il caso della raffineria di Priolo

Meno export ma prezzi più alti: Mosca in bilico. In Italia c'è il rischio di aumenti per le famiglie

«La decisione dell'Ue di tagliare le importazioni di petrolio russe potrebbe far aumentare i prezzi del petrolio - dice la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen -. Bisogna vedere con quali condizioni verrà realizzata questa scelta». È uno degli effetti di un eventuale embargo Ue - anche se graduale - del petrolio russo. Mosca ne venderebbe di meno ma a caro prezzo. Dopo le parole con cui la commissaria Ursula von der Leyen ha annunciato un'accelerazione verso la decisione di uno stop alla fornitura dalla Russia entro sei mesi, il prezzo del greggio è iniziato a salire. La prospettiva di un embargo ha spinto il Brent, il petrolio di riferimento europeo, a 109 dollari al barile, +3,7 per cento. Ma anche il Wti americano registra un aumento del 3,7 a 106,26 dollari.

L'embargo imporrebbe a Mosca di trovarsi altri mercati. La Russia è infatti il terzo produttore di petrolio con 11 milioni di barili al giorno dopo Stati Uniti e Arabia Saudita. Esporta il 50 per cento del greggio che produce, pari a circa 5 milioni di barili al giorno. E l'Europa è il primo mercato per le esportazioni russe, dopo la Cina. «È evidente che se il petrolio russo che l'Occidente già ha iniziato a non comprare più non trovasse sbocco sul mercato mondiale allora si avrebbe una crescita dei prezzi», aveva già detto Claudio Spinaci, presidente dell'Unem, Unione energie per la mobilità, al Corriere della Sera. Il timore però sono gli scompensi dei prezzi e gli effetti a cascata gli aumenti dei costi. Quelli di benzina e gasolio hanno già costretto il governo a intervenire a sostegno di famiglie e imprese.

Già subito dopo l'invasione russa il Brent era salito da 90 a 112 dollari al barile, secondo un'analisi dell'Ispi. Dunque per l'Europa prima ancora dell'annuncio di von der Leyen il costo delle importazioni di petrolio era aumentato di 8,2 miliardi. L'effetto dell'embargo sulla Russia si tradurrebbe invece in meno volumi esportati. Secondo l'Agenzia internazionale per l'energia, Mosca avrebbe già perso circa 0,7 milioni di barili al giorno tra inizio marzo e inizio aprile. E per l'Ispi sarebbe costretta ad abbassare i prezzi per trovare altri sbocchi. Il 21 aprile il greggio russo (Urals) era già sceso a 71 dollari al barile: per questo «rispetto al periodo pre invasione Mosca avrebbe già perso 2,9 miliardi di dollari».

In Italia le forniture russe pesano per quasi 10 per cento dell'import di greggio, secondo i dati del 2021 dell'Unem, pari a 5,7 milioni di tonnellate. Si tratta come per il gas di diversificare, ma la via è più semplice visto che l'anno scorso l'Italia aveva già importato da 22 Paesi 73 tipi di petrolio. Il governo dovrà però affrontare il salasso dei costi sulle famiglie, e il caso della raffineria Isab di Priolo (Siracusa), che fa capo al gruppo russo Lukoil. Ha 3.500 dipendenti e da settimane «le banche non danno linee di credito», dicono i sindacati, e adesso «gli unici fornitori disponibili sono i russi.

Prima delle sanzioni si trattava del 15 per cento del prodotto lavorato».

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