A tarda sera erano ancora in alto mare (e l'apparente ironia ha purtroppo un suo fondamento) le discussioni al Consiglio europeo sulla questione più scottante tra quelle che i leader politici dei 28 Paesi membri dell'Ue sono chiamati ad affrontare a Bruxelles: quella della crisi migratoria, negata sfacciatamente dal presidente francese Macron che insiste sull'esistenza soltanto di una crisi politica, ma talmente reale da tenere in bilico non solo il governo della potente Germania ma la stessa sopravvivenza dell'Unione come oggi la conosciamo.
Al centro delle faticose negoziazioni c'era la ricerca di una formula in grado di soddisfare le richieste dell'Italia, poste con un vigore cui i nostri partner non erano abituati da molti anni e da molti governi a questa parte: richieste che si riassumono in fondo in un unico punto essenziale, ossia considerare la gestione dei «movimenti primari» dei migranti prioritaria rispetto a quelli «secondari». Il che significa proteggere le frontiere esterne dell'Ue in modo da impedire ai migranti (che sono in gran maggioranza «economici», cioè persone mosse unicamente dal desiderio di trovare una vita migliore nei nostri Paesi, e non profughi da guerre o persecuzioni) di raggiungere l'Europa e poi spargersi dove meglio ritengono per sé all'interno dell'accogliente spazio Schengen.
Il negoziato è assai complesso, perché si tratta in sostanza di scegliere tra soddisfare le pretese italiane (il cui premier Conte minaccia in caso contrario di negare il suo indispensabile assenso alle conclusioni finali del summit che si chiuderà oggi) e quelle della Germania: che sono poi quelle della Cancelliera di non vedere approvate misure considerate lassiste dal suo ministro dell'Interno, il cristiano-sociale bavarese Seehofer, che minaccia di disarcionare clamorosamente Angela Merkel.
E se vicino alle posizioni italiane (ma con distinguo importanti) ci sono l'Austria del Cancelliere Kurz che domenica subentrerà nella presidenza semestrale dell'Ue, l'Ungheria di Orbàn, oltre al presidente del Consiglio Europeo Tusk e a quello dell'Europarlamento Tajani, la Germania può contare su un fronte franco-spagnolo determinato a non soddisfare le nostre richieste, in particolare quella di veder realizzati i centri di accoglienza e selezione dei migranti sul suolo nordafricano. Il premier spagnolo Sanchez parla esplicitamente di solidarietà alla Merkel e al suo governo traballante, mentre la Merkel come sempre è più sottile: e fa notare che per costruire gli hotspot in Nord Africa bisogna prima sentire i governanti nordafricani, i quali (dal Marocco all'Algeria, dalla Tunisia all'Egitto fino alla stessa Libia) paiono ben poco disponibili. Sicché la Cancelliera potrebbe dire al povero Conte, che ieri ha anche incontrato in un bilaterale: io ti sarei anche venuta incontro, ma da quell'orecchio quelli proprio non ci sentivano. Come ulteriore argomento contro di noi, la leader tedesca osserva che l'Italia necessità di sostegno, ma che i migranti non possono scegliersi il Paese europeo d'asilo: insomma, da noi possono arrivare, ma spostarsi altrove no.
L'Italia, insomma, appare sostanzialmente isolata nella sua giusta battaglia. Al punto da doversi forse acconciare ad una qualche forma di compromesso: potrebbe magari accettare hotspot sul proprio territorio se anche altri Paesi facessero lo stesso. Paiono però escluse concessioni sui migranti in cambio di favori al tavolo del bilancio comunitario.
La Francia insiste nel volerci rifilare un accordo al ribasso che spaccia come una replica di quello accettato dalla Grecia: in pratica, soldi in cambio dell'accettazione a mantenere i centri di accoglienza e selezione, riverniciati come «europei», sul nostro territorio. Macron finge di dimenticare però che quando Atene accettò quell'intesa aveva praticamente la troika Bce-Fmi-Commissione Europea in casa e una capacità negoziale vicina allo zero. Ma già nella tarda serata di ieri fonti italiane chiarivano che l'idea di Macron sarebbe stata respinta. Così la conferenza stampa serale di Juncker e Tusk è stata cancellata per mancanza di intesa.
Oggi giornata decisiva. Sullo sfondo c'è lo spettro del fallimento di ogni intesa, con Conte costretto a non votare il documento finale del Consiglio Europeo.
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