Lo hanno arrestato nella notte. Era nel suo «habitat naturale»: un seminterrato a Desulo, cuore della Barbagia, il regno dal quale non si è mai mosso in tutta la vita. Figuriamoci adesso, a un passo dagli 80 anni. Del resto, perché spostarsi da una terra che ha sempre fatto finta di non vederlo, anzi lo ha protetto? Felice di farlo. Perché - sotto sotto - «Grazianeddu» è sì considerato nell'isola un bandito, ma comunque migliore dei banditi del Continente, quelli con addosso i vestiti delle Istituzioni. Quando i carabinieri hanno fatto irruzione nella casa dove si nascondeva, Mesina era disarmato, dormiva vestito, in un cassetto 6mila euro. Il motivo di tanta tranquillità? In quel luogo non temeva alcunché, nessuno lo minacciava, la gente del posto lo tollerava o lo temevano, come si fa con un parente pazzo che un po' va assecondato e di cui un po' si ha paura. Ma i carabinieri non sono persone paurose. Per mesi gli hanno dato la caccia. Stanandolo. L'ex latitante non ha detto nulla. Ora è in cella.
Più che una partita secca, quella tra Graziano Mesina e lo Stato italiano, è un lungo campionato dove i contendenti (che però, nel 1992, per il rapimento del piccolo Farouk Kassam, si trasformarono clamorosamente in complici) si combattono (o fingono di farlo) da oltre mezzo secolo.
La carriera criminale di Mesina comincia infatti quando la futura «primula rossa del banditismo sardo» è ancora minorenne, ma già capace del primo omicidio. Ne seguiranno altri, mischiati a un campionario di reati da brivido. Roba da ergastolo. Peccato che Mesina, ogni volta che lo beccano, riesce sempre a fuggire. Con modalità da leggenda. Ma dietro il mito dell'«inafferrabile barbaricino» si nascondono depistaggi e complicità nel solco di una consolidata tradizione tutta italiana: inconfessabili trattative dove le, presunte, «forze del bene» si mischiano a e quelle del male. Corsi e ricorsi storici.
Non a caso nel 2004 Mesina viene graziato dal presidente Ciampi ed esce di galera; ma questa volta dal portone principale, con l'agente della penitenziaria che lo saluta cordialmente.
La «partita» sembra finita, invece il «campionato» è ancora tutto da giocare. Mesina sa fare solo il delinquente e quello continua a fare. Tramontata l'epoca dei rapimenti, si adegua al nuovo orizzonte del traffico di droga. Per lui parte un nuovo mandato di cattura, ma quando lo vanno a cercare nel suo «regno di Sardegna» lui ha già riconquistato il suo status preferito: quello di latitante. E siamo a ieri. I carabinieri gli hanno messo le manette. Per l'ennesima volta. Ora e in carcere.
Ma, considerata l'età ottuagenaria, c'è da scommettere che ci resterà poco. Probabilmente lo Stato italiano gli concederà di morire nel suo letto. Nella sua Sardegna. A coronamento di un «patto» mai ufficiale, ma più che ufficioso.
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