Il messaggio dell'Ue e il bivio. Una prova di coerenza sulla sicurezza dell'Ucraina

L'Europa alza la voce. I rischi di rottura con Trump e la linea rossa della difesa di Kiev

Il messaggio dell'Ue e il bivio. Una prova di coerenza sulla sicurezza dell'Ucraina
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Oggi a Washington si mette alla prova l'asse Europa-Ucraina. Sarà una giornata cruciale, faccia a faccia con un Donald Trump che ad Anchorage ha purtroppo dimostrato di trovarsi più a suo agio a breve distanza dalla Siberia russa che in quella ampia - mai così ampia come oggi - che separa le due rive dell'Atlantico.

I leader europei, dopo aver sostenuto e ribadito il diritto di Kiev alla propria integrità territoriale, sono chiamati a una difficile prova di coerenza. Non solo dovranno dimostrare di essere in grado di svolgere un ruolo in questa storica crisi, non solo si troveranno a sfidare l'azzardo che la conferma di fronte a Trump delle proprie posizioni possa sfociare in una rottura a livello Nato dalle conseguenze preoccupanti. Ma soprattutto, dovranno mantenere una linea condivisa sul tema cardinale delle garanzie di sicurezza da offrire all'Ucraina. Queste garanzie, che in teoria (in questi giorni più che mai le parole vengono spese con facilità) dovrebbero vedere coinvolti gli Stati Uniti e addirittura incontrare un assenso del Cremlino, sono irrinunciabili per il futuro dell'Ucraina indipendente e costituiscono un elemento di sicurezza altrettanto essenziale per noi europei.

Sul tavolo c'è la proposta con targa italiana di garantire l'Ucraina da future nuove aggressioni russe attraverso un impegno coordinato di un gruppo di potenze occidentali a reagire tutte insieme in difesa di Kiev: il cosiddetto articolo 5 simil-Nato, con riferimento all'articolo dello statuto dell'Alleanza Atlantica che considera un attacco a un qualsiasi suo membro come un attacco a tutti.

Una proposta interessante, che si rivelerà una cartina di tornasole della serietà di tutti i protagonisti di questa crisi. E questo per una ragione molto semplice: le garanzie devono essere concrete, pena rivelarsi l'ennesima occasione di comodi esercizi verbali. Il tempo per questi giochetti, però, è scaduto. Siamo ora di fronte a un punto chiave che non ammette ambiguità.

In concreto: se un gruppo di Paesi alleati s'impegna per il futuro a difendere l'Ucraina in caso di nuovi attacchi russi, deve essere in condizioni di farlo. Militarmente, non a chiacchiere. Difendere l'Ucraina significa disporre di mezzi e uomini in Ucraina, come fanno gli americani in Corea dove dagli anni Cinquanta esiste una situazione simile a quella che potrebbe venire a determinarsi in Ucraina in caso di armistizio. Non è che si può pretendere di lasciare tutto com'è, lasciando gli ucraini soli ad arrangiarsi con qualche missile in più, e poi se Putin attacca ancora facciamo delle belle riunioni simil-Nato e lo minacciamo un po' a vanvera.

Non può funzionare così: o si installa in Ucraina una guarnigione europea (gli americani non ci andranno mai finché c'è Trump, e forse nemmeno dopo) adeguata a svolgere una credibile funzione deterrente sulla Russia, o è perfettamente inutile.

Ora, siccome Putin questo lo sa benissimo, ha già messo in chiaro che lui non lo accetterà mai. Parla di atto di guerra, come se non fossimo tutti già coinvolti in questa guerra, scatenata da lui stesso con false motivazioni, ormai da anni.

E qui è il bivio decisivo: o si stabilisce, possibilmente d'intesa con Trump ma eventualmente anche da soli, che si respingono i veti di Mosca, oppure si china il capo e si subiscono. Ovvero, si abbandona di fatto l'Ucraina al suo destino e ci si prepara - sa Dio come - a vederlo diventare il nostro da qui a cinque-dieci anni.

Dare garanzie all'Ucraina può significare insomma spingere all'estremo la sfida a Putin, che come sempre minaccerà il solito inattuabile Armageddon nucleare: ma se non si avrà il coraggio di farlo, vorrà dire che le famose garanzie sono solo

fuffa.

Ma se saranno - come è purtroppo prevedibile che saranno - soltanto fuffa, non si capisce per quale motivo uno Zelensky messo con le spalle al muro dovrebbe regalare un quarto del suo Paese a Putin in cambio di niente.

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