Come il Mossad sia riuscito a colpire per la terza volta la centrale di Natanz, cuore dei progetti nucleari iraniani, resterà un mistero. Il perché invece è più semplice da spiegare. Basta guardare, da una parte, alle trattative fra i rappresentanti dell'Iran e quelli di Unione europea, Usa, Francia, Inghilterra, Cina e Russia (i cinque componenti permanenti del Consiglio di Sicurezza più l'Ue) in corso dalla scorsa settimana al Grand Hotel di Vienna e, dall'altra, alla visita del Segretario alla Difesa statunitense Austin Lloyd, arrivato in Israele domenica per colloqui con l'omologo Benny Gantz e con il premier Bibi Netanyahu.
Al centro dei negoziati di Vienna e di Gerusalemme c'era, seppur con toni diversi, il tentativo di rimettere in piedi l'accordo sul nucleare (Piano d'azione congiunto globale) siglato nel 2015 dall'amministrazione Obama e dalla Repubblica Islamica. Un accordo, affossato nel 2018 da Donald Trump, che Joe Biden ha sempre fatto capire di voler ripristinare. Ma per riuscirci deve vedersela con un Netanyahu convinto che l'intesa sia solo un ipocrita palliativo destinato, nel medio periodo, a regalare l'arma atomica agli ayatollah trasformandoli in una minaccia «esistenziale» per Israele. Un concetto ribadito prima da Gantz e poi dal premier israeliano negli incontri con il Segretario alla Difesa americano. Ma per meglio farsi intendere Bibi s'è fatto precedere dagli ancor più espliciti argomenti del Mossad. E così ecco la misteriosa esplosione che ha distrutto la linea di centrifughe di nuova concezione messa in funzione solo sabato dagli ingegneri di Natanz. Quelle centrifughe dovevano, stando ai tecnici di Teheran, garantire il raddoppio delle riserve di uranio arricchito al 20 per cento portandole dagli attuali 55 chili, già presenti nei depositi, a ben 120 chilogrammi in meno di otto mesi. Non avevano fatto i conti con un Mossad abituato da tempo a contrastare i loro piani. Un'abitudine sviluppata fin dal 2009 quando Stuxnet, un virus informatico progettato con la Cia, infestò i computer di Natanz distruggendo un migliaio di centrifughe. E solo undici mesi fa l'ennesima infiltrazione cibernetica aveva generato un gigantesco incendio all'interno dell'infrastruttura.
Ma a fare la differenza è, stavolta, la volontà israeliana di attribuirsi l'operazione. A differenza del passato, fonti dell'intelligence hanno immediatamente segnalato l'origine del nuovo colpo. Il messaggio, indirizzato più agli Usa che non a Teheran, fa capire che una nuova intesa nucleare, favorita dall'alleggerimento delle sanzioni introdotte da Trump, non troverà mai il consenso dello stato ebraico. E che il governo di Netanyahu è pronto a passare dalla guerra segreta allo scontro aperto pur d'impedire all'Iran di dotarsi dell'arma nucleare.
In questo risiko i margini d'iniziativa nelle mani di Washington sono veramente pochi. Spetta infatti ai vertici della Repubblica Islamica decidere se sia più conveniente tentare l'ennesima «vendetta», ritualmente promessa ieri dal ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif o far, invece, buon viso a cattivo gioco e continuare le trattative indirette con l'amministrazione Biden per farsi attenuare le sanzioni, ripristinare l'intesa sul nucleare e riaprire la strada agli indispensabili investimenti europei.
Ma non è un calcolo facile. Il ritorno all'intesa costringerebbe l'Iran a vivere sotto il pungolo dei continui attacchi di uno stato ebraico che, a giudicare dai fatti, non ha nessuna intenzione di delegare a Biden la propria sicurezza.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.