Cronache

Metrò, corsa e caffè: Milano riparte (piano)

Milano, ore 7,36 del Capodanno del Covid, un giorno che è l'inizio di qualcosa di nuovo ma nessuno sa che cosa. Il bar vicino casa è aperto, vende le sigarette e fa anche il caffè, ma te lo servono nel bicchierino e te lo bevi per strada

Metrò, corsa e caffè: Milano riparte (piano)

Milano, ore 7,36 del Capodanno del Covid, un giorno che è l'inizio di qualcosa di nuovo ma nessuno sa che cosa. Il bar vicino casa è aperto, vende le sigarette e fa anche il caffè, ma te lo servono nel bicchierino e te lo bevi per strada. E farà anche schifo, dopo due mesi di inattività della macchina. Il primo espresso della fase due non può essere una ciofeca. Passiamo.

C'è il sole. La gente è per strada, più di ieri e meno di domani, come si diceva dell'amore nei cartigli dei cioccolatini negli anni Settanta. Ma qui di romanticismo ce n'è poco. Tutti con la mascherina, alcuni per la verità arrotolata sul collo. Siamo a NoLo, periferia Nord della città, ai semafori di viale Monza ci sono automobili in coda. La nuova normalità puzza di smog come quella vecchia. «L'invito a utilizzare il mezzo personale ha funzionato, tanto che abbiamo avuto un aumento del 30 per cento delle auto private», dirà poco dopo a una tv il vicesindaco Anna Scavuzzo. Ha detto davvero «invito a utilizzare il mezzo privato?». Lo ha detto. Decenni di politiche ambientaliste sbianchettate in due mesi.

Noi il mezzo privato non ce l'abbiamo. Entriamo in metropolitana, linea rossa, fermata Rovereto. Noi la metropolitana abbiamo continuato a prenderla per recarci tutti i giorni in redazione, a Cordusio, anche quando il lockdown era una roba seria, anche quando Milano sembrava un episodio di Black Mirror, anche quando a girare per la città si aveva un brivido da reduci, e un giorno - sarà stato fine marzo - ci capitò perfino di essere gli unici passeggeri di tutto il convoglio, il nostro treno privato. Ora i vagoni sono pieni il giusto, abbastanza da stare seduti un posto sì e uno no e, per gli altri, stare in piedi inchiodati all'adesivo tondo appiccicato sul pavimento per definire gli spazi, che tutti i passeggeri sembrano giocatori del Subbuteo incardinati alla loro base.

Loreto, scendiamo e prendiamo la verde. Ci sono percorsi per chi va e per chi viene, i milanesi sono docili, hanno gli occhi (di più non si vede) di quelli che vogliono meritarsi un regalo per paura che gli venga sottratto, nessuno sgarra. Soldatini senza anima e senza bocca che si muovono come automi. Scendiamo a Cadorna, ci affacciamo nella stazione militarizzata, poliziotti e soldati ovunque, c'è chi distribuisce mascherine (e ripensiamo a quando, un mese fa, le pagavamo tre euro l'una ed eravamo pure felici), c'è chi con il termoscanner misura la temperatura di chi scende dai treni che arrivano dall'hinterland.

Facciamo un giro attorno a Parco Sempione, ci sono cani che portano a spasso i padroni, ciclisti, c'è una folla di corridori dentro e fuori (il vero circuito è quello esterno, da 3,5 chilometri), alcuni sono chiaramente inadatti al gesto atletico, improvvisati, accalorati, in debito di ossigeno, si portano appresso alcune decine di chili di troppo (che faccio, lascio?), ma l'occasione fa l'uomo runner. E tanto basta.

Torniamo indietro. I tram sferragliano, dentro anime distanziate e con gli occhi sullo smartphone. Riprendiamo la metropolitana, scendiamo a Loreto, ci facciamo a piedi un lungo tratto di viale Monza. La pasticceria Scaringi esibisce in vetrina decine di brioche (cinque anni di Milnao ci hanno definitivamente tolto la voglia di chiamarli cornetti) sfornate con un ottimismo che mette appetito. Anche qui caffè da asporto in bicchierino. Passiamo anche stavolta. Deviamo per il Parco Trotter. Aperto. Dentro una donna su una panchina e poi solo mezzi della manutenzione. Ci vorrebbe qualcuno a manutenerci l'anima, per questa Fase 2 che non assomiglia a una festa nemmeno un po'.

Malgrado il sole.

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