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Il mezzo nazionalismo di una Nazione stanca

L'ingresso tedesco nel teatro bellico mediorientale rimanda a una Germania che non passa e che si pensava scomparsa

Il mezzo nazionalismo di una Nazione stanca

Una mezza dozzina di Tornado, una nave da guerra, satelliti da ricognizione e un aereo da rifornimento in volo. Il contributo bellico tedesco alla guerra contro l'Isis, se sarà confermato dal Bundestag, per quanto limitato è, a suo modo, epocale. Per la Germania in primo luogo, ma anche per le ricadute che potrebbe avere sull'Unione europea. Se François Hollande e Angela Merkel rafforzano e in qualche modo blindano l'asse franco-tedesco come motore portante, non solo economico, dell'Europa (anche il contingente militare inviato da Berlino in Mali si muove in quest'ottica) mettono gli altri Paesi di fronte al fatto compiuto. Certo, realtà come la Grecia o la stessa Spagna restano comunque marginali di fronte a interventi bellici futuri, ma è chiaro che l'Italia vede restringersi sempre di più gli spazi per una politica estera che sia autonoma e che sia nell'interesse nazionale. È un altro dei paradossi di un'integrazione che, per essersi voluta declinare soltanto sul fronte dello sviluppo, non possiede né un esercito né un'unica politica continentale e ricade così nel nazionalismo d'antan, tanto deprecato eppure, a ben vedere, mai così vitale.

Per capire i riflessi interni della decisione tedesca, basterà ricordare che perché un politico accettasse di pronunciare in pubblico la parola «patria» si è dovuto aspettare Helmut Kohl: «Unser deutsches Vaterland», ed erano già gli anni Ottanta. È il frutto di quello che in Germania si chiama Vergangenheitsbewältigung, ovvero l'elaborazione del passato e insieme il suo superamento, qualcosa di onnipresente nella vita del Paese, nei programmi scolastici come nelle terze pagine, alla radio come alla televisione. Eppure, non c'è ancora una strada intestata a Marlene Dietrich, simbolo antinazista per eccellenza, l'interprete dell'Angelo azzurro cinematografico tratto dal romanzo di Heinrich Mann E certo, ci sono 3.500 memoriali del Genocidio in Germania, ma su tutto quello che un tempo era il territorio della Ddr, la cifra supera di poco le 300 unità. Eppure, dei dodici milioni di tedeschi in fuga nell'inverno del 1945 da Könisberg, Danzica, Stettino, espulsi in un esodo terribile di fame, freddo, morte, si è cominciato a parlare non da molto e quando lo ha fatto Günter Grass gli è stato subito rinfacciato il suo passato di giovane Ss.

Il fatto è che il Sonderweg, la «peculiarità tedesca», la sua specificità, ha in sé anche l'elemento dell'eccezionalità. Non solo perché la sua storia nazionale, intesa come storia identitaria, è un susseguirsi di tracolli e riordinamenti, crolli sistematici che impediscono la continuità dell'autopercezione nazionale. Per restare al solo Novecento delle catastrofi ideologico-politiche, c'è il crollo del Kaiserreich nel 1918-19, la fine della Weimar democratica del 1932-33, la resa incondizionata del 1945, il collasso della Ddr nel 1989-90, per non parlare di un sommovimento culturale quale il cosiddetto «'68 tedesco», dove gli elementi terroristici di banda armata fanno impallidire i coevi Anni di piombo italiani. Ma a ciò va aggiunto, come ha ben messo in luce Marzia Ponso nel suo Una storia particolare (il Mulino), che i tedeschi sono il solo popolo in Europa ad avere preso parte attiva «a entrambi i grandi movimenti del XX secolo contrari alla democrazia parlamentare e al progetto della società civile, quello fascista e quello comunista»; il solo ad avere sperimentato fascismo-comunismo-democrazia liberale su uno stesso territorio e, negli ultimi due casi, addirittura in contemporanea.

Anche Angela Merkel fa parte, a suo modo, della peculiarità tedesca. Incarna l'etica della disciplina, la paura dell'inflazione e un patriottismo senza pathos. Chi l'ha definita Mutter mutlos - Madre (s)coraggio -, ne sottolinea l'incapacità di prendere decisioni per eccesso di analisi, la paralisi della politica quando si trincera dietro le regole, i regolamenti, le sanzioni. Quando accade che agisca sull'onda emozionale, come è avvenuto non molto tempo fa a proposito dell'immigrazione, è stato un disastro

Certo, la Merkel è pragmatica, solida anche fisicamente, e irresistibilmente richiama alla mente il sarcastico giudizio di Nietzsche sulla «profondità» tedesca: «È spesso soltanto una pesante e tardiva "digestione". E come tutti i malati cronici, come tutti i dispeptici hanno la tendenza alla comodità, così il tedesco ama la "franchezza" e la "dirittura": come è "comodo" essere franchi e probi!».

Un patriottismo senza pathos è probabilmente l'unico possibile per un Sonderveg che ha pagato sulla propria pelle, sulla propria anima e sul proprio suolo l'amarissimo conto del super-pathos patriottico nazista. Ma è anche la spia di una stanchezza, come dire, biologica. Gigante economico, la Germania è un gigante vecchio: muoiono più tedeschi di quanti ne nascano, decrescita naturale dicono i demografi. Da un decennio a questa parte, la Unworth des Jahres, la non parola e/o il neologismo dell'anno, scelta come emblematica dalla Società della lingua tedesca, oscilla fra la Rentnerschwemme, l'«alluvione dei pensionati», e la Rentnerdemokratie, la «democrazia dei pensionati», passando per la Sozialverträgliches Frühableben, il «decesso precoce socialmente compatibile», la paura che i pensionati non si decidano a morire

Così, l'ingresso tedesco nell'attuale teatro bellico mediorientale potrebbe rivelarsi uno e bino, un atto dovuto che rimanda all'Occidente democratico e liberale, oppure il riflesso di un passato che non passa e che rimanda a un'altra Germania che si credeva scomparsa.

Quella stessa però che era solita vincere tutte le battaglie, ma perdere tutte le guerre.

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